CIV. - Tre passi indietro

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I campi in cemento erano ormai lucidi e vuoti

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I campi in cemento erano ormai lucidi e vuoti. L'attrezzatura, il complesso kit di telecamere, droni, circuiti elettrici, smontato e messo a riposare. Le righe bianche splendevano dietro un sole accecante e tiepido. 

Le reti erano state allentate, in vista degli interventi di rimessa a nuovo dei mesi successivi. Era sparito tutto. Tutto andava sistemato, messo a nuovo, per l'arrivo della nuova stagione e del torneo ATP dei giorni successivi.

Entrai dal cancello principale e andai a sistemarmi sulla prima panchina del campo traverso. Il campo 12 aveva ancora la rete che disegnava una lunga parabola verso il centro. Mi sedetti sulla panchina. Dietro la rete blu di protezione il prato verde era ancora ben curato, la siepe perfettamente dritta e pulita. Piccoli fiori gialli disseminavano quel giardino.

Il vento caldo mi arrivava in faccia, mentre mi sistemavo seduta sulla panchina. Non avevo un vero motivo per farlo. Volevo farlo e basta. Era come se solo in quel momento stessi realizzando che non era mai stato un sogno o una fantasia. Ero davvero lì, era mio il completo nero e dorato che avevo addosso e la tessera nera che mi era stata affidata nove mesi prima.

Quando Riccardo era arrivato di corsa e aveva bloccato Giulia prima che potesse di nuovo attaccarmi, mi ero resa conto di avere avuto paura. Ma non era una paura classica, una di quelle paure che ti fanno sperare di poter uscire da quella situazione. 

Era una paura diversa, una paura che quasi mi faceva sperare di essere inghiottita completamente da quel dolore, quasi per sfuggirne. Non sapevo dire che tipo di desiderio fosse, perché era tutto così rallentato e sfocato che non riuscivo a focalizzare neanche le mie emozioni. 

Ma lì, in mezzo all'erba fresca della radura e con Riccardo che bloccava Giulia e la trascinava via così che Orlando potesse portarla nel labirinto e portarla in un posto sicuro, mi sentivo in trappola. 

Le parole di Giulia mi avevano fatto sentire in trappola, a disagio. E non sapevo perché. Sentivo che quella parte, quella parte di me che ricordava ciò che era successo quella notte, mi stava suggerendo qualcosa, forte e chiaro: di scappare finché potevo.

Non avevo perso mai i sensi prima di allora, e credetti di non averli persi neanche quella volta. Sentivo solo di aver aspettato un tempo enorme prima che Riccardo tornasse a riprendermi. 

Mi aveva chiamato due volte e poi era corso verso di me, mi aveva preso la testa e me l'aveva alzata. Aveva farfugliato qualcosa sul fatto che stessi perdendo sangue dal labbro e aveva detto che mi avrebbe portato da qualche parte che non fosse lì.

Così avevamo attraversato la stradina impervia di accesso alla radura ed eravamo tornati nel sottobosco, con lo sguardo dei due piccoli E che avevano prima ridacchiato vedendoci uscire dalle frasche, e poi urlato vedendomi dolorante, sconvolta, e con un rivolo di sangue rosso che colava sul completino da tennis ormai irrimediabilmente macchiato.

Io e Riccardo avevamo promesso di raccontare una versione dei fatti differente, per preservare il segreto della radura e capire come comportarci. Ci eravamo brevemente messi d'accordo, ma alla fine non era stato necessario, perché aveva parlato solo lui. 

La Fenice #1 [La Fenice Series]Onde as histórias ganham vida. Descobre agora