LXXXV. - Ferite del passato

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Era ormai mezzanotte, il cielo stellato splendeva di un blu profondo. Salutai i dirigenti con cui avevo parlato insieme a Jade, mentre il presentatore chiudeva la serata e ancora una volta i protagonisti salutavano il pubblico e tornavano ad essere se stessi.

Noemi a grugnire e a detestare i brillantini che le coprivano la faccia, Giulia a controllare gli indici di gradimento isolandosi dal mondo, Orlando a firmare autografi e a fare foto con la nuova capigliatura rosso fiammante. 

Riccardo era fuori dalla terrazza ovest del privé, stava discutendo con suo padre e il suo agente. Passai davanti alla vetrata ed entrai nel bagno vicino. Nutrivo la speranza che mi vedesse e mi fermasse, e non sapevo perché lo desiderassi così tanto.

Ma non accadde. Chiusi la porta, mi avvicinai allo specchio e mi lavai le mani. Avevo bisogno di schiarirmi le idee dopo tutto quello che era successo quel giorno e finalmente potevo farlo, da sola. 

Dovevo smettere di pensare a lui. Per l'ennesima volta dovevo impormi di non credere che avesse cercato di aiutarmi. Se aveva organizzato quel fuori programma con i microfoni non era certo per farmi un favore, ma per promuoversi.

Se mi aveva protetto davanti ad Alessandro era solo perché io ero stata incapace di difendermi da sola. Non c'era niente che potessi fare per fargli cambiare idea su di me e sapeva che quelle scuse frettolose nel labirinto erano state dettate solo dal suo orgoglio ferito, dopo averlo cacciato via.

Mi sciacquai il viso. Un'altra exhibition era finita. Mi rendevo conto di quanto fosse difficile sostenere tutta quella serata solo alla fine, anche se per la prima volta ero riuscita ad abbandonare il campo senza scoppiare a piangere, scappare o deprimermi.

Ero contenta, ma mi sentivo sfinita. Non vedevo l'ora di scendere negli spogliatoi e farmi una doccia calda. Dovevo abbandonare quel posto. L'idea che i miei compagni vivessero lì, senza un attimo di tregua, mi fece rabbrividire. 

Quando uscii dal bagno Riccardo comparve davanti a me. Sussultai, poi feci un sorriso rimanendo sulle mie, anche se il cuore stava palpitando all'impazzata.

- Ti ho visto scappare in bagno, ma non ho fatto in tempo a fermarti.

- Mi stavi cercando?

- Volevo parlarti.

Tornammo alla terrazza. Adesso era vuota, anche se c'era un gran baccano: la folla stava cominciando ad uscire dallo stadio e noi seguivamo quelle teste che tornavano sul cardo. Le luci del Nido dorato illuminavano il pavimento marmoreo della piazza con striature iridescenti. Faceva meno freddo di quel che immaginavo, ma ebbi lo stesso un fremito.

- Hai freddo? - chiese. Lo guardai senza capire.

- Stai tremando. Vuoi la giacca?

Inarcai il sopracciglio: - Prima alla CS, e adesso all'exhibition. Fammi capire, hai sempre una giacca di riserva nel borsone?

- No, simpaticona. Questa volta ti do la mia.

Tentennai per un secondo.

- No, non preoccuparti. Non vorrei mai che morissi assiderato proprio stanotte che hai avuto un successone, con quella meravigliosa trovata dei microfoni... - alzai gli occhi al cielo, lui scoppiò a ridere.

- Guarda che io sto benissimo, sei tu che muori di freddo anche se ci sono trenta gradi.

- Questo non è vero! - gli diedi una fiancata.

- Beatrice, è quasi Maggio e giri ancora vestita come se fossimo al Polo Nord.

Gli feci una linguaccia. 

La Fenice #1 [La Fenice Series]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora