XV. - Una dei tanti

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La sveglia suonò alle cinque e mezza. Non poteva essere già mattina. Intorno a me c'era buio pesto e non si sentiva nulla, a parte Vanessa che si rigirava nel letto. Mi alzai e cominciai a prepararmi. Quel giorno, da sola, mi guardai per la prima volta allo specchio con la divisa del gruppo A addosso. Il mio volto era stanco, gli occhi gonfi e il viso pallido come un lenzuolo. Eppure, solo vedere quella tuta nera, poter toccare quel simbolo dorato, mi fece sentire i brividi.

Presi il borsone, bevvi un caffè e uscii di casa. L'auto era fuori ad aspettarmi.

La Fenice era irriconoscibile: i campi erano immersi in un silenzio tombale. I lampioni illuminavano solo il cardo e l'ingresso; in fondo le luci del Nido seguivano l'orientamento delle sue lamiere, avvolgendolo in un fascio di luce. Ma io non riuscivo a godermi quella vista, non riuscivo a pensare ad altro che alla stanchezza e al freddo che mi pungeva il viso. Non potevo credere di aver davvero convinto i dirigenti a lasciarmi studiare nella mia scuola e di averlo fatto promettendo di allenarmi prima dell'inizio delle lezioni. Era una follia. Eppure ero proprio lì.

Camminai per il cardo, superai i campi dei professionisti e svoltai a sinistra verso i campi A. Nel campo coperto c'era già John Ousmane ad aspettarmi.

- Pronta per il primo giorno di allenamento? – chiese il vice-allenatore con un largo sorriso prima di invitarmi a riscaldarmi. A differenza mia era pimpante come se fossero le dieci del mattino. Feci un cenno di assenso e cominciai a correre. Una pioggia leggera cominciò a battere sulle pareti di vetro.

Fu un allenamento semplice, non diverso da tanti altri che avevo già fatto, ma all'inizio ero così tesa da non riuscire a cacciare una sola pallina in campo.

Ero convinta che John mi avrebbe cacciato dal campo subito, ma non accadde. Anzi, cominciò a sostenermi, fino a quando non dimenticai dove fossi e cominciai a giocare davvero. Parlava molto durante le pause, e qualsiasi cosa dicesse sul mio conto, sembrava che mi conoscesse da sempre; qualsiasi suggerimento si rivelava subito prezioso. Allo stesso tempo sapeva come allentare la tensione. Mi piaceva.

L'allenamento volò. Quando uscii dal coperto il sole era alto. John mi diede appuntamento per quel pomeriggio e mi lasciò da sola a correre per il defaticamento e a fare stretching. Percorsi il cardo fino alla fine, schivando le pozzanghere e godendo del silenzioso risveglio della Fenice con il sorriso sulle labbra.

Ero soddisfatta. Mi sembrava di aver dato una buona impressione.

Alle tre tornai in campo. Questa volta avevo alle spalle anche un compito di latino ed ero stravolta, ma niente mi avrebbe impedito di dare il massimo davanti a Cresci.

Entrare alla seconda ora mi aveva fatto passare inosservata, ma in classe non erano bastati i richiami della prof per ristabilire l'ordine. Tutta la classe mi era corsa incontro. Anche se con molti di loro non avevo mai parlato molto, mi sentivo per la prima volta felice di ricevere quelle attenzioni. I miei amici mi avevano chiesto come mi sentissi, cosa si provasse ad essere famosa. Era una domanda che in quei giorni mi avevano rivolto in molti.

Io avevo fatto spallucce e avevo risposto che dovevo continuare a rifarmi il letto e a studiare per le interrogazioni: no, non mi sentivo poi tanto diversa.

Erano scoppiati tutti a ridere di gusto.

Adesso ero anche simpatica, incredibile.

Quando arrivai ai campi A lo staff era già sotto la tettoia tra i campi 13 e 14. Mi avvicinai con timore. Cresci mi diede il benvenuto con una lunga occhiata.

- Beatrice Capuano. La ragazza che ci sta già dando problemi... –

Sentii un brivido correre dietro la schiena. Deglutii. Non sapevo cosa dire, e quindi decisi di star zitta. Non sapevo dire con certezza se il suo tono fosse serio o ironico.

La Fenice #1 [La Fenice Series]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora