LXXV. - Apri gli occhi

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"Sto morendo", era l'unico pensiero che riuscivo a formare nella mia testa. Un dolore lancinante mi costrinse a guardare il ginocchio destro. Perdeva sangue copiosamente. Nella caduta dovevo essermi graffiata contro qualcosa di appuntito. Con fatica appoggiai nuovamente le mani a terra, poi mi misi a sedere. Il fiato della persona alle mie spalle era pesante e infuriato. 

Mi prese con forza per il polso, riuscendo ad alzarmi con la sola forza del suo braccio. Mi mise le mani intorno al collo e cominciò a spingere, togliendomi il fiato. Sentii il cervello annebbiarsi, così come la vista. 

Le lacrime bagnavano le guance mentre imploravo pietà, ma nessun suono usciva. Non ci sarebbe voluto molto prima che perdessi i sensi completamente, ma nonostante questo non riuscivo a reagire. 

Nella penombra dei corridoi mi sforzavo di capire chi ci fosse dietro quella tuta nera. Ma l'uomo nero non aveva ancora finito con me. Lasciò la presa, sembrò di sprofondare nel vuoto mentre mi ritrovavo ancora sul freddo cemento del corridoio, che distinguevo a malapena. 

Cercai di alzarmi in piedi, ma caddi rovinosamente. Il brutto segno che segnava la gola mi impediva di urlare come nel peggiore dei miei incubi. Dovevo scappare. Non sapevo cosa fosse successo, ma una cosa era certa: se mi avesse preso di nuovo mi avrebbe ucciso. 

Mi alzai ancora, ma scivolai subito dopo. Un rivolo di sangue aveva macchiato il pavimento, le mani erano sbucciate. Alzai il capo inerme. Una sagoma in piedi davanti a me mi guardava soffrire senza muovere un muscolo, per poi sparire.

Mi dicevo di non mollare, di sforzarmi di non perdere conoscenza. Mi aggrappai al pavimento, spingendo con i gomiti per cercare di trascinare il resto del corpo. Avanzai in avanti, un dolore lancinante alla schiena mi spinse ancora una volta giù. La guancia premeva dolorosamente sulla pietra fredda, la scarpa che mi costringeva a terra premeva sempre di più sulla schiena.

Lasciai che le braccia non opponessero più resistenza, perdendo la presa sulla parete. Sentivo qualcosa di umido colare sull'occhio sinistro, mentre disperata e distrutta, mi lasciavo andare sul pavimento. Gli occhi, ormai ridotti ad una fessura, si chiusero senza che potessi fare nulla, mentre scivolavo sempre di più nell'oblio.

.

Il dolore alla testa era insopportabile. Un guanto di calore mi avvolgeva la testa e mi intontiva, tanto da percepire a malapena lo spazio circostante. L'odore asfissiante del ferro mi bruciava nelle narici. 

Sentivo la bocca impastata, un sapore orribile in gola. Era sangue? I miei arti erano paralizzati dal dolore, la paura mi costringeva a tenere gli occhi chiusi. Una mano mi afferrò debolmente il braccio, poi mollare la presa. Chiunque fosse, non riusciva nel suo intento. 

Ancora una volta una spinta verso l'alto mi costrinse a farmi forza rimettendomi in piedi. Ci riuscivo, ma era come se avessi la testa staccata dal resto del corpo. Vedevo i miei piedi che si muovevano a malapena come ombre, accanto a quelli della persona che mi sorreggeva e mi conduceva altrove.

- Beatrice! Beatrice!

- Dove sono? – provai a chiedere. Aprii gli occhi. Davanti a me apparve uno sfondo bianco, illuminato da luci violacee.

- Beatrice mi senti?

Risposi ancora, ma la mia bocca non emetteva alcun suono, nonostante fosse spalancata.

- Beatrice, svegliati!

Una figura angelica comparve nella mia visuale poco dopo, circondata da luce accecante. Aveva i capelli lunghi e biondi leggermente mossi, gli occhi azzurri e limpidi, così lucidi ma potermici specchiare. Sembrava un angelo.

La Fenice #1 [La Fenice Series]Where stories live. Discover now