LXI. - Smarrimento

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Cominciai a correre furiosamente tra alberi e cespugli, quando necessario anche tra rovi spinosi e foglie cadute così scivolose da farmi perdere continuamente aderenza al terreno.

Quando finalmente riuscii a localizzare la mia posizione sulla mappa ero quasi al limite del labirinto. Non mi ero mai spinta così lontano, e non avevo idea di come sarei tornata. Tutto ciò che la visione satellitare mostrava era una macchia verde e scura. 

Continuai a vagare, ma la strada cambiava orientamento continuamente. Il segnale scomparve ancora. Un sentiero coperto da aghi di pino e sassi mi faceva strada, verso ovest il terreno si innalzava, risultando invalicabile. 

Provai ad arrampicarmi, ma non facevo altro che scivolare e tornare al punto di partenza. Quando mi alzai da terra per l'ennesima volta, la felpa nera aveva ormai assunto un rivoltante colorito marrone, i pantaloni della tuta mostravano grosse chiazze umide di terra, il tessuto era strappato sul ginocchio destro.

Continuai a camminare, sembrava un incubo, un vero incubo dal quale non riuscivo a svegliarmi. Continuai a camminare con le lacrime agli occhi, lasciandomi guidare dai rumori della foresta che mi sovrastava. 

Ad un certo punto la luce si fece più intensa e mi ritrovai su un'altra radura di terra giallastra, inondata dal sole. Al centro c'era una piccola struttura in pietra, un piccolo casolare ormai inghiottito dalla terra. Sporgeva per non più di mezzo metro, il tetto piano era sovrastato da cespugli pungenti e ai lati si vedevano appena le finestre, ridotte a fessure. 

Anche se non sapevo dove fossi, tirai un sospiro di sollievo.   

Avanzai ancora verso il sentiero in ombra, asciugandomi le lacrime e sperando nella buona sorte. Qualche passo ancora e lo sentii.

All'inizio, quasi non ci feci caso. Poi, proseguendo per la strada, sempre più forte e nitido. Un fruscio, dei passi. Con il cuore in gola che pulsava svelto continuai a camminare lentamente.

- C'è qualcuno? – la mia voce era poco più che un soffio.

- C'è qualcuno? – ripetei. Nessuno rispose. Qualunque cosa fosse, sembrava essersi volatilizzata.

Ripresi a camminare più sicura, ma pochi istanti più tardi il silenzio fu interrotto da un rumore assordante. Un suono metallico, come se qualcosa di molto pensante fosse caduto su una lastra di metallo.

Adesso potevo sentire forte e chiaro il mio cuore esplodere nel petto.

Dopo l'urto udii un altro suono, come il lamento di un animale. Tesi l'orecchio. Era una voce flebile, incostante, che singhiozzava. 

Superato l'ultimo curvone, capii che non poteva essere un animale. Dietro l'alta siepe che costeggiava il sentiero c'era qualcuno, ma la sua voce mi era sconosciuta. A tratti sembrava che parlasse una lingua sconosciuta. Tra la coltre di alberi che mi stava davanti non riuscivo a scorgere nient'altro che tronchi e foglie. 

Mi sembrava di essere diventata pazza. La foresta non dormiva mai, ma era assurdo che a quell'ora, in una parte così remota del labirinto, ci fosse davvero qualcuno. A parte me, ovviamente. 

Poteva trattarsi di nuovo di uno dei ragazzi del B? Cercai di vedere oltre, ma la barriera di rami e foglie lo rendeva impossibile. Tesi l'orecchio, ma il verso si era già dissolto. Mi resi conto solo allora, con ancora l'orecchio proteso verso la siepe, che stavo proprio esagerando.

Lo smart squillò improvvisamente, facendomi prendere un colpo e innalzando in coro i placidi uccelli che un secondo prima erano appollaiati sugli alberi intorno. 

Il nome di Riccardo sullo schermo. Guardai ancora un secondo quel muro di foglie, che si zittì dopo l'ennesimo fruscio, poi arretrai.

- Pronto? –

La Fenice #1 [La Fenice Series]Where stories live. Discover now