XLVIII. - Dolce e amaro

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Era sempre stato un giocatore scostante, un ragazzino indisciplinato, o almeno questo avevo capito dalle interviste e dai video che avevano bombardato il pubblico dopo l'ingresso nel gruppo A.

Aveva sempre avuto dei colpi prodigiosi, una presenza in campo da invidia, ma mentalmente era molto debole. Da quando era entrato nel gruppo A era migliorato tantissimo.

Feci ancora un applauso. Stava letteralmente annientando il suo avversario, che non riusciva a reagire. I suoi diritti si facevano sempre più deboli e i suoi passanti poco efficaci.

Riccardo sembrava essere diventato una montagna a rete, e anche quando aveva subito un lob, era tornato indietro e con un diritto incrociato potente aveva sancito la fine del punto.

Lo guardai raccogliere la palla alla fine del campo e sollevarla con un colpo rapido della racchetta, poi soffiarsi sulle dita della mano destra come faceva dopo un punto molto lungo.

Si avvicinò alla riga di fondo, si posizionò asciugandosi la fronte con il polsino e fece rimbalzare la palla tre volte, per poi lanciarla in alto e colpirla in un servizio perfetto.

Più mi soffermavo su quei dettagli, più mi sentivo triste. Sarei tornata volentieri ai giorni in cui lo sognavo da lontano, senza conoscere quel lato di lui insensibile e pieno di sé, senza sapere che lui stava con Giulia, se non fosse significato anche tornare al B1.

Sognarlo da lontano era molto meglio di conoscerlo e non poterlo avere.

Entrai in campo con alle spalle Eveline Nephew. Era passato poco meno di un mese dalla prima e ultima volta in cui ci eravamo incontrate, e quella sconfitta mi riportava ricordi dolorosi.

Dopo il nostro unico incontro nello spogliatoio lei mi aveva evitato senza dire una parola, e ne ero felice.

Non dovevamo fare le amiche fuori dal campo se non lo eravamo, non dovevamo starci simpatiche per forza, soprattutto adesso che le cose erano cambiate.

Con la finale guadagnata nel torneo precedente Eveline aveva guadagnato diversi posti in classifica. Non ero preoccupata, le classifiche erano solo numeri e per di più anche io mi sentivo diversa, più forte. Avrei fatto di tutto per vincere stavolta.

La partita fu divertente, esattamente come l'ultima. C'era qualcosa in Eveline che si adattava perfettamente al mio gioco, ed era forse per questo che con lei non ero riuscita a dare il massimo.

Era come me, giocava allo stesso modo, ma era semplicemente più brava. 

Eveline era forte, troppo forte. Aveva sempre la chiave per uscire da ogni situazione. Continuavo a ripetermi che non stavo giocando male, continuavo ad attaccarla sul suo rovescio, il suo punto debole, e la chiamavo a rete con tantissime palle corte per farla correre e stancarla. 

Eppure, per ogni palla corta lei aveva una volée che finiva sulla riga, per ogni colpo sul suo rovescio lei avea un diritto sventaglio così stretto da diventare imprendibile.

Stavo facendo tutto il necessario per batterla, ma niente da fare. Ancora una volta fu lei ad alzare le braccia al cielo, anche se questa volta avevamo lottato molto di più.

Quando distolsi lo sguardo dal campo dopo averle stretto la mano mi resi conto di ciò che stava accadendo fuori.

Una folla di fotografi e giornalisti erano accalcati davanti al cancelletto del campo, sgomitando in attesa. Feci con comodo, aspettando che se ne andassero con Eveline. 

Ma quando lei uscì dal cancelletto loro la lasciarono passare con indifferenza. Rimasi sconcertata.

Era lei che aveva vinto, era lei che era appena entrata tra i primi cento del mondo juniores, eppure loro la stavano ignorando, loro stavano aspettando me. 

La Fenice #1 [La Fenice Series]Where stories live. Discover now