ChiaraBrunetti3

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TRATTO DA: "Strong", prologo, di ChiaraBrunetti3 [TUTTI I DIRITTI SONO RISERVATI A ChiaraBrunetti3]


Se la vita con certe persone è stata buona, io devo essere stata un diavolo nella mia vita precedente.

Non ho mai preteso niente di più di ciò che potevo avere, e avevo, finché mia madre non ci abbandonò a me e mio padre, ricordo ancora quel giorno così nitido nei miei ricordi come fotografie scattate che non si logorano e ingialliscono con il tempo perché fanno troppo male per essere dimenticate, anche se avevo 7 anni...io ricordavo.

11 anni fa...

L'odore acre che aleggiava per le scale di legno traballanti proveniente dalla cucina mi fece distrarre dai compiti che la signorina Smith ci diede, 'raccontate in due pagine la vostra famiglia', a me una mezza pagina bastava, ma non volevo essere a dimeno di tutte quelle bambine che si avventuravano in classe con vestiti firmati all'ultima moda, le scarpe di vernice italiane costose, io non potevo avere niente di tutto ciò, dei genitori amorevoli che le aspettavano fuori all'uscita dalla scuola a braccia aperte, io non avevo nessuno ad aspettarmi, solo un vecchio catorcio giallognolo sbiadito con i vetri rotti chiamato pullman.

Mi recai in cucina con i piedi scalzi con addosso solo un vecchio paio di calzini a righe bucati, lei si voltò, uno sguardo cupo e severo e la bocca una riga dritta che non lasciava spazio ad emozioni o anche solo ad una finta felicità, era una donna che amava curarsi solo di se, i capelli biondi raccolti in uno chignon e 2 perle ad incorniciare il volto privo di rughe, due occhi verdi come i miei, ma i suoi erano freddi, ti potevano far gelare il sangue nelle vene.

Mi sedetti sulla sedia di legno con la testa bassa e senza troppe cerimonie Eleonor, la donna che in teoria doveva essere mia madre, ma non voleva sentir pronunciare quel nome, mi porse un piatto a conca davanti ai miei occhi, con una specie di brodaglia verdognola a riempirlo.

L'unico che veramente mi voleva bene era mio padre, lavorava di notte come guardia notturna di un museo, dove solitamente dopo la scuola mi fermavo e guardavo con occhi affascinati tutti quegli oggetti antichi e statue preziose.

L'aria gelida che aggirava in quella cucina insieme ad una tensione che si poteva tagliare con il coltello, mi fece capire che già quel poco che avevamo, non l'avremmo avuto più.

Il vestito nero stirato perfettamente addosso ad Eleonor, che era solita portare maglie informi e pantaloni sgualciti, m'incitò a parlare, anche se io ed Eleonor non parlavamo quasi mai, anzi forse non ho mai avuto una conversazione con quella donna.

"Mamma perché indossi un vestito?" Alzai il viso dal piatto per incontrare il suo sguardo stizzito, che mi fece rabbrividire, e la voglia di nascondermi s'impadroniva di me sempre più prepotentemente.

"Ragazzina insolente, quante volte ti ho detto di chiamarmi Eleonor?" Il suo tono era come uno schiaffo doloroso in pieno viso, di quelli che ti fanno pizzicare le guance e piangere, ma io non piangevo mai, non ero stata tirata su per farlo, si piegò poggiando il palmo liscio della sua mano dove brillava un grosso anello con uno smeraldo verde incastonato, sul legno ruvido del tavolo per fissarmi meglio.

"Io...io, veramente...scusami" sussurrai imbarazzata e impaurita, si perché quella donna incuteva timore, non avevo mai ricevuto un bacio sulla guancia, non sapevo neanche che sapore e morbidezza avessero le sue labbra ora contornate da un rossetto rosso sfavillante.

"Fila in camera tua, e rifletti sulle tue azioni, piccola rompiscatole" scaraventò il piatto dentro il lavatoio ammaccato e sporco, che si frantumò in mille pezzi, come il mio cuore, che forse non era mai stato intatto.

La mattina seguente scesi piano le vecchie scale di legno che traballavano per non fare rumore, e la scena che mi trovai di fronte mi congelò quel poco sangue caldo che mi era rimasto nelle vene.

Mio padre, era accasciato sul divano, con una mano a coprire il suo viso grinzoso, i capelli brizzolati scompigliati come quando si viene colpiti da una folata di vento forte, e 4 bottiglie vuote di liquore, una delle quali poggiava sulla sua mano grande, e le altre messe in fila orizzontale ai piedi del divano di pelle marrone consumato.

Un gradino sotto i miei piccoli piedi scricchiolò, e portarono l'attenzione di mio padre che prima fissava una mattonella rossa rotta, su di me, i suoi occhi grigi, vispi e gentili, erano stati spazzati via e rimpiazzati da uno sguardo amaro e triste, così come il suo sorriso smagliante che aiutava a far apparire quel viso smunto più in salute era scomparso, lasciando solo la traccia di una linea sbieca appena accennata.

"Piccola cosa fai sveglia a quest'ora?" Il puzzo d'alcool che emanava il suo alito mi colpi in pieno viso, la voce come un sussurro smorzato.

"Sono le 11 papà" gettai un occhiata sul tavolino di legno dove vidi un biglietto stropicciato, mi avvicinai con cautela e lessi l'ovvio:

'Maicol,la nostra storia è stata basata su alti e bassi, i bassi hanno primeggiato su gli altri, è tanto tempo che non ti amo più, non facciamo più l'amore, e per il mio bene e forse anche quel poco bene che provo per te, me ne vado, mi sono innamorata di un uomo che può darmi quello che tu non hai mai potuto darmi, con quella paga misera da guardia, mi trasferisco a Miami, quindi non cercarmi, a Cindy, quella mocciosa, non dirgli nulla, tanto non serve a niente in questa vita, ADDIO Maicol, stammi bene.'

Strinsi i piccoli pugni della mano, la rabbia s'impadronì di me, mio padre nel mentre si addormentò, mostrando le rughe del volto distese, svuotando anche le ultime gocce di un Whisky da pochi dollari, e mi promisi che sarei diventata una donna forte, che avrei superato tutto nella vita, e che un giorno sarei andata a cercarla, e sputargli veleno addosso, quel veleno che mi sarei ingoiata e portata dietro per tutta la vita.  

CONCORSO #MettitiAllaProvaWhere stories live. Discover now