TetoraNishizono

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TRATTO DA: "Il puzzle di T.", capitolo "Basta poco per essere felici", di TetoraNishizono  [TUTTI I DIRITTI SONO RISERVATI A TetoraNishizono]


Ho bisogno di parlarti, per favore. Non so più come rintracciarti.

Digitai queste parole senza pensarci. Avevo bisogno di sentirlo, di sapere che non mi stavo sbagliando e che non ero impazzita. Non sapevo cosa gli avrei detto, se mi avesse risposto. Ma valeva la pena provare, perché così non ce la facevo più. Quel silenzio era durato pure troppo.

Un paio di giorni dopo arrivò la notifica di un messaggio da parte sua. Tremai. Mi chiese di incontrarci, perché anche Lui aveva bisogno di parlarmi. Accettai. Il posto che aveva scelto era un locale in centro. Ci andavamo spesso anni fa. Era stata la sua tranquillità a colpirci. Mi accomodai a quello che era stato il nostro tavolo. Le sedie sembrarono fissarmi come per riconoscermi. Ero nervosa, non riuscivo a stare seduta composta, i dubbi iniziavano a prendermi. Volevo andarmene, ma in quell'attimo lo vidi arrivare. Sorrideva. Dio se mi era mancato quel sorriso! Distolsi l'attenzione da quei pensieri e lo salutai. Riempì lo spazio vuoto di fronte a me e ordinò un caffè e un tè nero, poi rimase in silenzio. Anch'io non riuscivo a parlare, temevo che se l'avessi fatto sarei stata un fiume in piena di lacrime. Finalmente la sua voce calda mi accarezzò i timpani.

- Ho letto la tua e-mail l'altra sera. Come stai? – i suoi occhi scuri mi fissavano per tranquillizzarmi. Aveva i capelli raccolti e aveva raso la barba. L'aveva fatto per me, ne ero certa.

- Io te l'ho scritto come sto... – abbassai lo sguardo.

- Mi stavo prendendo tempo per risponderti. Esprimere certe cose in forma scritta richiede un'incredibile quantità di tempo per trovare le parole esatte.

- Per questo ho impiegato un paio di mesi per scriverti – gli sorrisi.

- Ti ho pensata spesso, chiedendomi quando e se avrei mai ricevuto una risposta da te. E non mi ero domandato perché ti ho scritto finché non me lo hai chiesto tu – il suo sguardo non lasciava andare il mio. Era serio, ma felice.

Avevo paura di lasciarmi andare. L'ultima volta che l'avevo fatto era finita con due anni di silenzio.

- E hai trovato una risposta? – i dubbi attanagliavano le mie sinapsi e mi facevano sudare le mani.

- La conoscevo già – si voltò a guardare fuori, lasciandomi qualche istante per ammirare le onde dei suoi lunghi capelli castani. Poi tornò su di me. – Sei importante per me. – quelle parole mi bombardarono lo stomaco facendolo esplodere di paranoie e felicità allo stesso tempo.

- Mi dispiace esserti sembrata angosciata nel cercarti, ma avevo davvero bisogno di parlarti. Fosse stato anche solo per un minuto – dosai bene i respiri per non andare in panico – Volevo essere certa di non averti ferito con la mia risposta.

- Non riesco a immaginare nulla di simile da parte tua, bambina – la sua premura era rassicurante.

- Con quelle parole ti ho caricato di una serie di responsabilità che sì, sono dipese da te, ma che non sono colpa tua. Non volevo che fraintendessi questo – ripensai agli attacchi di panico sempre più frequenti, al non riuscire ad alzarmi dal letto, all'apatia che mi aveva avvolta come seconda pelle. Quando se n'era andato, io avevo smesso di vivere e respirare. Ero diventata un groviglio di disperazione e paure.

- Non lo avrei mai pensato. E son felice che tu mi abbia parlato apertamente, senza nasconderti. Preferisco la tua maniera di dire le cose e, dopotutto, sai che con me non hai bisogno di mentire – perché mi conosce così bene? A volte vorrei non essergli indissolubilmente legata fino a tal punto!

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