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TRATTO DA: "L'età avanza, l'amore rimane", capitolo 1, di FanniaSte [TUTTI I DIRITTI SONO RISERVATI A FanniaSte]

"Era un bambino fragile, ci siamo accorti subito che aveva qualcosa che non andava, era diverso dagli altri bambini. Lo portammo da tanti dottori e alla fine scoprimmo il problema, soffriva della sindrome di Kanner, meglio detta Autismo. Abbiamo cercato di aiutarlo come meglio potevamo, anche se avvolte non era per niente facile. Non fu facile neanche comunicarlo ai vicini che fino a quel momento erano cordiali con noi, diventarono sempre più distanti e freddi, volevano darci una mano, ma tu volevi fare tutto da sola.I dottori ci spiegarono che chi soffre di questa patologia soffre di alti livelli d'ansia e di numerose angoscianti paure, unite spesso a manifestazioni di rabbia e collera. La presenza di un mondo interiore emotivamente molto disturbato si rende evidente già dai racconti e dai disegni che, a volte, questi bambini riescono a costruire. Racconti e disegni nei quali predominano temi angoscianti, cruenti, raccapriccianti. Ricordo quella volta che tornai a casa e mi saltò in braccio con un foglio di carta in mano, lo abbracciai forte e lo posai per terra, alzò la sua manina per farmi guardare il suo disegno, ed era tutto colorato di nero e non capivo cosa ci fosse disegnato. Con calma gli chiesi cos'era, lui provo a spiegarlo, ma non ci riusciva così iniziò ad arrabbiarsi, aveva iniziato ad urlare e a buttare per terra i giochi e i colori quando di corsa arrivasti tu e lo prendesti in braccio per calmarlo. Quella sera non mi rivolgesti parola, forse secondo te avevo fatto qualcosa di sbagliato.Era un bambino fragile, molto fragile, era anche molto debole di salute, si ammalava spesso e il più delle volte c'è ne accorgevamo quando ormai la febbre era alta, ed eravamo costretti a portarlo di urgenza in ospedale per le cure. Il destino è stato crudele con noi, con te. All'età di 2 anni il nostro Luca ci ha lasciati.

Una sera tornai tardi da lavoro e ti vidi tutta agitata perché Luca aveva la febbre alta, ti arrabbiasti con me perché avevo il telefono spento e non riuscivi a contattarmi al lavoro, mi giustificai dicendoti che il telefono si era scaricato e a lavoro ho avuto una brutta giornata. Ero davvero così dispiaciuto, e ora mi sento un po' colpevole per quello che successe dopo, ma io ero davvero a lavoro quella sera, so che molto volte hai pensato che potevo tradirti, ma non è così, ti amavo troppo per farti una cosa del genere. Il nostro piccolo Luca quella sera non c'è la fece. I primi mesi eri irriconoscibile, i tuoi sorrisi non esistevano più, il tuo sguardo era vuoto, e iniziasti a lasciarti andare, mangiavi pochissimo e la notte ti alzavi per andare a chiuderti in bagno a piangere. Ho cercato di starti il più vicino possibile, facevo finta di non sentirti quando ti alzavi per piangere, di non vedere il mascara colato, la voce rauca, il tuo viso scavato. Cercavo soprattutto di non farti pesare nulla, ti aiutavo dove mi era possibile, ho iniziato anche a fare i lavori di casa quando tornavo da lavoro per non chiederti nulla, e lasciarti il tuo spazio. Ho cercato di aprire un discorso con te per non lasciarti sempre sola con i tuoi pensieri, per darti altro a cui pensare, ma tu eri cambiata, non eri più tu. Una sera, ricordo, tornai prima dal lavoro, entrai in casa e andai in cucina pensando di trovarti li e non ti vidi, andai in salone, in camera da letto, ma non c'eri da nessuna parte, iniziai a chiamarti a voce alta, ma non ho avuto risposta. Andai verso il bagno, forse eri immersa nel tuo dolore che non mi avevi sentito, sperai fosse così.Bussai e ti richiamai, ma tu ancora non mi rispondevi, mi decisi ad aprire la porta, ma essa era chiusa e non era da te chiuderti dentro. Inizia a bussare freneticamente e ad urlare, tu continuavi a non rispondermi. Ero in preda all'ansia, ti supplicavo di aprirmi, mi appoggiai alla porta per sentire cosa stavi facendo, ma era tutto silenzioso quando ad un tratto ho sentito un tonfo. Quel rumore sembrava un corpo che cadeva a terra, poi non si sentiva più nulla. Ho chiamato di corsa l'ambulanza e i pompieri, ero terrorizzato all'idea di perdere anche te. Cosa avrei fatto senza di te? Quando i pompieri arrivarono, insieme all'ambulanza spiegai la situazione e si precipitarono ad aprire quella maledettissima porta che mi separava da te. La buttarono giù, e ti videro stesa per terra, il volto rigato dalle lacrime e accanto a te un barattolo di pillole aperto e varie di queste sparse per il bagno. Giacevi li per terra come se fossi morta, il tuo respiro era molto debole e stavi iniziando a cambiare colore. Vederti li per terra mi ha sconvolto, non riuscivo più a pensare o a parlare. Crollai di ginocchia per terra e mi strinsi le mani sulla testa, non volevo crederci. Ricordo il suono delle sirene che ti portarono con urgenza in ospedale per farti riprendere. Un poliziotto mi aiutò a rialzarmi e mi accompagno in ospedale mi toccava rimanere in sala di attesa per sapere come saresti stata, e tutta quella attesa mi torturava. I dottori mi dissero che avevi preso un colpo alla testa ma non sembrava nulla di grave, quando ti saresti svegliata ti avrebbero fatto una tac e dei raggi, per ora ti avevano fatto una lavanda gastrica per tutto quelle pillole che avevi ingerito. Quando ho potuto vederti, eri stesa su quel letto bianco, con attaccati al braccio le flebo per rigenerare il corpo e un'altra con un calmante. Ero rimasto accanto a te sempre, non ero tornato a casa neanche quando sapevo che eri fuori pericolo, avevo troppa paura a lasciarti li da sola."

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