Neve E Cenere | MARVEL โถ

By Nadja-Villain

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Astrid non รจ un'eroina e non si aspetta che il mondo la acclami. รˆ anarchica, polemica, insubordinata, curios... More

๐—œ๐—ก๐—ง๐—ฅ๐—ข๐——๐—จ๐—ญ๐—œ๐—ข๐—ก๐—˜
1 . Criminale
2 . La fine
3 . Buone maniere
4 . Andare avanti
5 . Reputazione
6 . Ostacoli mentali
7 . Vuoto
8 . Gioco di maschere
9 . Allucinazioni
10 . Minaccia latente
11 . Folgorazione
12 . Beviamoci su
13 . Un pugno di umiltร 
14 . La veritร  brucia
15 . Non disubbidirmi
16 . L'asso nella manica
17 . Casta Diva
18 . Mutaforma
19 . Ottimo lavoro, soldato
20 . Che cosa sei?
21 . Vecchi amici
22 . Una tuta su misura
23 . Mondi lontani
24 . Fiamma vivente
25 . Lavoro di squadra
26 . Concludi il compito
27 . Passaggio segreto
28 . Veleno
29 . Via di ritorno
30 . Boccata d'aria
31 . Esca
32 . Diversivo
33 . Attenzione alle paure
35 . Una squadra, una famiglia
36 . Di nuovo soli
37 . Solo un ripiego
38 . Proposta indecente
39 . Il peso delle parole
40 . Anime spoglie
41 . Rosso
42 . Irriducibile
43 . Vulnerabilitร 
44 . Punizione
45 . Torto o ragione
46 . Parco giochi
47 . Sul filo del rasoio
48 . Resurrezione
49 . In trappola
50 . Tortura eterna
51 . Bianco
52 . Esperimento umano
53 . Fuoco e sangue
54 . Ordini dall'alto
55 . Tattiche di fuga
56 . Trovare la propria strada
57 . Fantasmi
58 . Rivelazione
59 . Ci siamo sfiorati
60 . Potere
61 . Lo ucciderai
62 . Insegnami
63 . Benzina
64 . Fino alla fine
65 . Formicolii
66 . Solo un'ossessione
67 . Ora o mai piรน
68 . Digli che aveva ragione
69 . Gravitร 
70 . Una nuova luce
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34 . Spietata coscienza

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By Nadja-Villain

Se ne stava seduta scomposta sul pavimento a fissare un punto vuoto nella stanza. Persa, come un relitto sottomarino, uno di quelli ricoperti di muschi ed alghe, in balia delle correnti e dimenticati dal mondo. Le cuffie nelle orecchie, il volume al massimo, non ascoltava più. La musica la isolava dal mondo, ma non da sé stessa.

Stringeva ancora le forbici in mano. Stringeva le lame, sperando quasi di sentire la carne tagliarsi. Le braccia a incorniciare un ginocchio piegato, l'altra gamba distesa, lungo una retta infinita. Sbatteva solo le ciglia di tanto in tanto. Spostava il fuoco dell'obbiettivo più vicino o più lontano, seguendo con gli occhi il bordo perfetto delle tavole del parquet, come una mappa del tesoro che la guidasse per trovare qualcosa di interessante, qualcosa per cui valeva la pena riprendere il gioco.

Samantha aveva sempre avuto un debole per i suoi capelli selvaggi e Astrid li aveva odiati così tanto in un millesimo di secondo, mentre ricordava quando se li attorcigliava tra le dita smaltate come fossero suoi, che non era riuscita a controllare l'impulso. Una grossa ciocca era rimasta tra le sue mani e da lì si erano susseguiti tagli più ragionevoli e meno azzardati, necessari per rimediare al danno fatto.

La prima volta che si erano incontrate, quando Astrid si era presentata al suo appartamento come nuova coinquilina, la sacca semi vuota in spalla e un biglietto con l'indirizzo tutto spiegazzato tra le dita, aveva i capelli legati in una bassa coda di cavallo, lunga fino a metà schiena. Quelli di Samantha invece erano sempre lucenti e messi in piega con il ferro, perennemente schiacciati sotto un cappello di jeans con la visiera e tra le ciocche sbucavano due cerchi brillanti, grandi quando la circonferenza di un braccio.

Samantha aveva un'autentica passione per l'estetica. Ogni volta che beccava Astrid non pettinarli o non usare i prodotti giusti, prima le tirava le orecchie e dopodiché si proponeva di aiutarla. Per qualche anno era riuscita a renderglieli morbidi e addomesticabili. Aveva preso d'abitudine usufruire di quella chioma abbondante e poco sfruttata per allenarsi in trecce e altre acconciature. Astrid le sopportava per due ore e le slegava prima di andare a dormire, giusto per non darle troppo dispiacere.

Ma ora Samantha non c'era più. Nessuno l'avrebbe sgridata per come si era rovinata l'acconciatura. Nessuno l'avrebbe presa in giro, comparandola ad un animaletto arruffato, per poi provare ad aggiustargliela con una spuntata e un cerchietto, dicendole che le stavano bene comunque, anche se non era vero.

Roteò il capo verso la finestra del bagno, da cui la luce rosea di un sole che scoccava sul suo ultimo quarto giornaliero, filtrava tenue e malinconica. I busti dei grattaceli imponevano la loro ombra sulla città sottostante. Si chiese cosa ne sarebbe stato del suo corpo se si fosse gettata da quell'altezza. Magari da un salto del genere non avrebbe avuto scampo nemmeno lei. Tuttavia non sarebbe stata la cosa peggiore. Lo sarebbe stato scoprire il contrario: sopravvivere e affrontare la vergogna di una sconfitta contro lo scherzo che la natura le aveva fatto per deriderla. Si trovava al capolinea. Di nuovo. Era come se per ogni sforzo che faceva per riprendersi, c'era una forza contraria che le staccava le mani dalla risalita e le tirava un calcio in faccia per farla precipitare.

Non capiva il senso del suddeguirsi di scene confuse che continuava a rivivere e rivivere, in parte come incubi e in parte come eventi traumatici dimenticati. Quelle mani gelate, quelle grida così familiari, quegli ambienti tanto cupi, quel dolore fisico chea soffocava e le strizzava il cervello, talmente vero, talmente insopportabile da toglierle il fiato anche in quel momento. E tutta quella collera cieca e animale, quella furia inarrestabile e incontrollata... Da dove proveniva? Fino a quando doveva continuare quella tortura? Fino a quando avrebbe dovuto combattere contro sé stessa?

A un tocco di nocche si susseguì un debole richiamo. Strizzò gli occhi per rimpicciolire la spaccatura che quell'inflazione aveva creato nel suo rassicurante castello di vetro. Natasha bussò di nuovo. Non avrebbe accettato un'altra risposta muta. Disse che stavano per cenare e che avrebbe dovuto mangiare qualcosa anche lei, se non voleva lasciarsi morire. Eppure non suonava affatto male. Chissà se la sua maledizione avrebbe ovviato anche al problema della fame?

Aprì per sfinimento. La Vedova sapeva fare bene anche la parte dell'amica apprensiva. Non disse nulla quando la vide in quello stato. Appuntò l'angolo della bocca in un'espressione materna. Neutralizzò, con il suo sguardo saggio, le parole brusche che sgomitavano irrequiete pronte sulla bocca di Astrid e si riversavano negli occhi gonfi di pianto.

In realtà non c'era bisogno che si parlassero: s'intendevano perfettamente a cenni e l'ultima cosa che Astrid avrebbe voluto ricevere era una consolazione. Natasha lo sapeva. Astrid non era un soggetto facile da consolare. Non voleva sentirsi dire niente. Voleva sfogarsi e voleva soluzioni. Ma alla morte e al passato, la soluzione non poteva averla. Samantha, la sua migliore amica, era morta. E la sua infanzia era stata spazzata via da un trauma che non riusciva a ricordare.

Natasha riconosceva troppo bene l'ombra sul volto di Astrid. Se la portava a cada anche lei dopo le missioni più dure. L'unica differenza era che aveva imparato a mutarla in modo magistrale. Col tempo, aveva imparato a mentire anche allo specchio. Si sentiva affine a lei in questo e ciò le univa, ma le spezzava anche il cuore. Aveva visto troppo sangue nella vita e ne aveva sparso troppo senza battere ciglio. Forse avrebbe dovuto preservare la sua sensibilità per allontanarla dalle atrocità del mondo, la stessa che Astrid si industriava attentamente a far scomparire sotto un mantello di cinismo, ma era ben consapevole che non fosse possibile tenerla rinchiusa sotto una cappa di vetro per sempre.

In aggiunta, Tony non aiutava. In entrambi spiccava la tendenza autodistruttiva a soffocare le proprie colpe in una continua ricerca di annullamento. Ora che si erano incontrati, l'uno sosteneva il lato masochista dell'altra, trovando una certa rassicurazione, una giustificazione alle proprie condotte insalubri. A quel punto nessuno dei due trovava il motivo per cui tirarsene fuori. Erano una coppia fatale.

Per questo il Capitano le aveva dato il compito di tenerli d'occhio. Steve non sopportava di vedere Tony in quelle condizioni. Era stato preoccupato per lui ai tempi in cui era completamente alla deriva, dopo che Pepper se n'era andata. Adesso che aveva trovato qualcuno che potesse capirlo, ma senza nemmeno offrirgli la possibilità alternativa, sarebbe stato il passo definitivo. Non poteva permettere che si trascinasse ancora più in basso, tenendosi quel cruccio devastante come un'ineluttabile volontà del destino.

Lo stesso valeva per Astrid. In quegli occhi umidi ed elusivi, per quanto tristi, la giovinezza iniettava ancora una scintilla di amor proprio, un barlume di speranza nel futuro, una protesta silenziosa, un tiepido sentimento di rivalsa. Doveva fare qualcosa per quella piccola scintilla di vitalità. Non poteva lasciare che anch'essa si affievolisse sotto la mortifera mano della realtà in cui vivevano.

-È morta per colpa mia. - disse Astrid con la voce tagliata da un singhiozzo.

Il senso di colpa era parte integrante di quel lavoro. Bisognava imparare a conviverci. E nonostante non fosse stata una scelta incondizionata arruolarsi, adesso Astrid doveva fare i conti con le proprie responsabilità. Non solo a quelle vincolate alle direttive delle missioni, bensì anche a quelle che aveva stipulato con sé stessa.

Era la coscienza il punto debole di Astrid. Poteva bucare una lastra di metallo con un dito, attraversare lingue di fuoco e guarire da una pugnalata al fegato entro mezz'ora, ma niente l'avrebbe mandata a tappeto più di un resoconto personale.

Solo i membri degli Avengers sapevano che quello a cui giocavano non era veramente un gioco. Interpretare il super eroe invincibile era la parte più facile della giornata. Bastava un sorriso narciso, una frase fatta, una posa consapevole perché una moltitudine di ragazzini cominciassero a spingersi per un autografo o una foto, perché le bocche di tutti avessero di cui parlare e la stampa avesse materiale su cui guadagnare. Nessuno fuori dalla Torre sapeva che cosa accadeva una volta tolta la maschera e rilassati i muscoli.

Come se non bastasse, passata l'euforia iniziale, erano iniziate le diffamazioni pesanti e l'immagine degli eroi più venerati d'America era crollata verso il degrado. I giornalisti se ne inventavano di tutti i colori pur di avere in prima pagina la spia assassina, il miliardario in miseria, la bestia, il cecchino, l'alieno, la malvivente... Forse solo Captain America era ancora ben visto, o non avevano avuto tempo per trovare una pecca nel suo curriculum prima della fresca notizia sulla nuova componente.

Natasha non leggeva mai i giornali per evitare di rovinarsi il fegato, ma un giorno le era caduto l'occhio sull'intestazione del daily di New York:

"Mostro incandescente in circolazione: Gli Avengers non si danno per vinti e assumono una malvivente".

Si era avvicinata, aveva letto le righe sottostanti:

"Astrid Sullivan è davvero il nuovo volto della nostra salvezza?".

Sotto, una breve, ma accurata biografia in cui declamava ogni misfatto della ragazza; e poi, il colpo di grazia:

"Ancora una volta il Governo Americano affida il mondo ad una squadra di criminali autorizzati".

Non l'aveva detto a nessuno e sperava che almeno lei ne fosse rimasta all'oscuro. Non aveva assolutamente bisogno di un altro dito puntato, un'altra voce che esibisse il proprio parere su di lei. Non era incosciente, sapeva che cosa aveva fatto.

Non c'era dubbio che fosse avventata, violenta, presuntuosa e fin troppo sicura di sé, ma era umana. Come lo era lei, come lo era Steve, come lo erano Tony, Bruce, Clint... E nel senso più stretto anche Thor. Nessun tipo di capacità sovrannaturale sarebbe mai stata in grado di eliminare le emozioni, i sentimenti. Sarebbe dovuto essere questo il punto di forza degli Avengers. Non erano un semplice gruppo di combattenti con abilità speciali: erano prima di tutto cuori pulsanti.

Era un bene che ancora potessero gioire come soffrire, perché il loro era un mondo troppo brusco, troppo crudo per lasciarsi andare. Bisognava risollevarsi e combattere. E dovevano farlo insieme.

Quindi si sedette accanto a lei, offrendole una spalla.

-Sai che non è vero.

Strusciò una mano sul braccio appeso al ginocchio penzoloni.

-Ti manca?

Astrid deglutì un grumo pesante.

-Ogni giorno della mia vita. Ogni mattina, ogni sera, ogni notte. È come se mi avessero asportato un arto.

-Che cosa la rendeva fiera di essere tua amica?

Astrid fu sorpresa della domanda e quando le apparve la risposta, si ritrovò a sorridere.

-Diceva che ero sempre pronta a lottare. Che non mi arrendevo mai. Anche lei era così con me. Mi difendeva sempre. Litigava per me. Facevamo così tanti discorsi sulle ingiustizie... Lei era quella che voleva davvero salvare il mondo, io volevo solo vivere in pace.

-Allora cosa vuoi fare adesso?

-Voglio lottare.

Natasha le asciugò le guance umide. Le tirò su il mento per introdurle uno dei suoi insegnamenti all'onore e alla forza d'animo. Astrid accolse il gesto come una lezione di per sé. Il dolore che provava era un macigno sulle sue spalle e la pressava a terra, ma ciò non l'avrebbe spezzata. Doveva farlo per Samantha. Lo avrebbe fatto per Natasha e per tutti gli altri. Ne aveva bisogno per sé stessa.

-In piedi, guerriera.

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