CAPITOLO 59.

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«Non voglio guardare», dico con le lacrime agli occhi, seduta sul bordo della vasca.

«Allora apri», dice mia madre, fuori dal bagno.

«No».

«Rebecca, facci entrare». Christian sbatte un pugno sopra la porta, ma in questo modo non fa che aumentare la mia ansia.

Non voglio guardare.

Non posso esserlo, non ora.

Non ne sarei in grado.

«Rebecca». Sento mia madre supplicarmi.

Guardo il test di gravidanza posto sul lavandino, lontano da me.

Mi alzo lentamente e rimango con una mano a mezz'aria.

Non mi sento bene, soprattutto ora che so che potrei essere incinta.

«Forza», mi incita il mio migliore amico.

Prendendo coraggio e lo afferro.

Sbatto gli occhi: positivo.

«Non ci credo».

Scoppio a piangere in silenzio.

Come faccio?

Sono così giovane...

«Allora?».

Là fuori sono sempre più ansiosi. Mi asciugo le lacrime e apro la porta, mettendo in mano il test a mia madre.

«Santo cielo». Si mette una mano davanti alla bocca.

Christian mia abbraccia e mi accarezza la schiena.

«Vuoi tenerlo?», chiede subito mia madre.

Rimango sconcertata da questa sua domanda.

«Un bambino non è un fottuto oggetto», sbotto.

Mi guarda con aria comprensiva e dice: «Vado a dirlo a tuo padre».

Lascia il bagno e corre in cucina.

«Sei sicura di volerlo fare?».

Annuisco.

Se fossi rimasta incinta, mi sarei trasferita in Sardegna, dove mio padre ha una casa di villeggiatura. Almeno così avevo deciso.

«Ha detto che sarà qui tra poco», dice mia madre per poi sparire.

«Verrò con te, va bene?», mi chiede Christian tenendomi le spalle.

«Non voglio obbligarti a lasciare tutto», rispondo.

«Lo faccio anche per me».

Poso lo sguardo sui miei piedi scalzi.

«Vado in camera».

Salgo le scale lentamente ed entro nella mia vecchia stanza.

Non avrei mai pensato di tornarci.

È come se la valanga di ricordi che mi ero lasciata alle spalle, mi avesse travolta non appena ho messo piede in questa stanza.

Mi siedo sul letto, con le gambe a penzoloni e fisso il muro.

È strano come la mia vita sia cambiata nel giro di pochi giorni per colpa di due avvenimenti.

Ho cercato di non attribuirmi la colpa di ciò che è successo a Chiara, ma non riesco.

Se non avessi organizzato quella stupida festa, a quest'ora sarebbe ancora qui, a consolarmi per ciò che è successo.

Dovrei essere felice: dentro di me si sta creando una vita. L'unica cosa a cui penso è, però, a come farò.

Mi sento ancora una ragazzina, una bambina. Come farò a crescere un figlio?

«È arrivato tuo padre».

Christian entra in camera mia e interrompe il mio stato di trace.

Scendo al piano di sotto e trovo i miei genitori seduti sul divano.

«Come stai?», chiede subito mio padre.

«Non c'è male», rispondo ironica sedendomi sulla poltrona.

«Sei sicura di volerlo fare?», chiede.

Annuisco convinta.

«Sarai lontana da noi», interviene mia madre.

«Ci sarà Christian con me e, in ogni caso, prima che nascerà il bambino», faccio una piccola pausa, «troverò un lavoro per tenermi impegnata».

«Ti manderemo i soldi noi. Per questi nove mesi non lavorerai», dice severo mio padre.

Sono troppo confusa e stanca per ribattere, quindi rimango in silenzio.

«Dammi qualche giorno per comprare i biglietti e partirai insieme a lui», dicono rivolti a Christian.

Non potrò mai ringraziarlo abbastanza.

Penso a come sarà la mia vita da mamma, istintivamente sorrido, il primo degli ultimi giorni.

Crescerò il mio bambino con tutto l'amore che mi è rimasto.

«Ci vediamo tra qualche giorno». Christian mi bacia la fronte e mi saluta.

Rimango a fissare il tappeto senza proferire parola: dovrò iniziare una nuova vita, di nuovo.

«Sei sicura di volerlo fare?», chiede Christian parcheggiando davanti al bar.

«Sì», rispondo decisa.

«Vengo con te».

«No. È meglio se gli parlo da sola».

Ho deciso di parlare a Jacopo, nonostante il male che mi ha fatto.

«Fai veloce. Abbiamo il volo tra due ore».

Scendo dalla macchina e vado verso la porta del bar.

Cerco con lo sguardo la figura di Jacopo e lo trovo. È lì seduto a torturarsi le mani e con alcuni lividi sul viso.

Mi faccio coraggio e mi siedo davanti a lui.

«Mi aspettavo di vederti in condizioni migliori», dico ironica.

Sobbalza non appena sente la mia voce.

«Ciao», dice soltanto.

«Farò veloce». Mi fermo e prendo un lungo respiro. «Mi trasferirò insieme a Christian, lontano da qui».

«Cosa? Dove?», chiede interrompendomi.

«Non sono qui per rispondere alle tue domande, ma per dirti ciò che succederà non appena me ne andrò da qui».

Rimane in silenzio, con lo sguardo distrutto dal dolore.

«Voglio che tu non mi cerchi più, in nessun modo. Non voglio più avere niente a che fare con te». Mi si stringe il cuore pensando al nostro bambino.

«Non posso», dice accarezzandomi la mano.

La tolgo da sopra il tavolo, schifata.

«Puoi», ribatto alzandomi e andando verso la porta.

«Aspetta». Mi afferra un braccio e mi costringe a girarmi.

«Lasciami», urlo facendomi venire i brividi.

Mi fa venire la nausea essere toccata da lui.

«Lo so che ho sbagliato, di nuovo, ma lasciami spiegare».

Prima che possa dire qualcosa interviene Christian: «Basta così. Vattene».

Mi circonda le spalle con un braccio e mi porta in macchina.

Vedo Jacopo che rimane immobile, mentre guarda la nostra macchina andarsene.

Ho ufficialmente chiuso un altro capitolo della mia vita.

Compagni di StanzaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora