CAPITOLO 7.

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Mentre faccio soffriggere i cubetti di pancetta nella padella, Jacopo butta la pasta nella pentola.

Ha l'aria così concentrata che scoppio a ridere.

«Cos'hai da ridere?», mi domanda con il cucchiaio di legno in mano.

«Nulla è che sei così bello mentre cucini», rispondo arrossendo.

«E tu sei bellissima quando arrossisci».

Divento ancora più rossa e mi nascondo il viso fra le mani.

«Perché ti nascondi?», mi chiede ridendo.

«Perché odio quando arrossisco».

«Non dovresti». E mi toglie le mani dalla faccia e mi stampa un dolce bacio sulla fronte.

La carbonara è pronta, quindi ci sediamo a tavola e mangiamo.

«Ma Vittorio non si preoccuperà per noi?!», chiedo quasi strozzandomi con la pasta.

«Tranquilla. Gli ho mandato un messaggio dicendogli che ci siamo fermati a dormire fuori».

Tiro un sospiro di sollievo.

Se Vittorio sapesse quello che ho fatto con Jacopo stanotte, potrebbe giudicarmi male.

Ora cosa siamo io e Jacopo?

Tutti questi baci che ci stiamo dando cosa sono?

Prova qualcosa per me?

E soprattutto... io provo qualcosa per lui?

«Dopo quello che è successo stanotte, io e te cosa siamo?», domando interrompendo il silenzio.

Jacopo mi guarda freddo e risponde: «Nulla. Non siamo nulla, Rebecca. Volevo solo portarti a letto».

Sento il cuore che si spezza.

"Volevo solo portarti a letto". Questa frase si incide nella mia mente.

D'altronde dovevo aspettarmelo: Jacopo è il puttaniere della scuola.

Senza che me ne accorga, una lacrima solitaria mi riga il viso.

«Perché piangi?», chiede Jacopo rompendo il silenzio che si è creato tra di noi.

«Niente. Ora devo andare». Mi alzo e salgo in camera di Jacopo per prendere le mie cose.

«Dove credi di andare vestita in quel modo?!», sbraita riferendosi al vestito che indossavo ieri sera.

«A casa», rispondo senza guardarlo. Gli passo accanto a testa bassa e faccio per uscire dalla stanza, ma lui mi afferra il polso e mi ferma.

«Lasciami, Jacopo», dico con tono freddo.

«No, Rebecca. Ora mi spieghi cosa ti è preso», replica lui sbattendomi contro il muro.

Cazzo.

«Mi hai solo usata, porca puttana. Io non sono una delle tue troiette e non sono neanche una tipa da una notte e via. Se credi che io sia quel tipo di ragazza, ti sbagli!», gli urlo tra le lacrime.

Perché piango sempre per colpa sua? «Mi sono stufata di questa situazione», aggiungo con un filo di voce, tra un singhiozzo e l'altro.

Lui non dice nulla, e il suo silenzio mi fa stare ancora più male.

Guardo i suoi occhi, ma non riesco a capire quali emozioni prova.

«Ieri sera credevo di essere stato chiaro. Oggi sarebbe tornato tutto normale. Se vuoi andare, vai. Ma non vestita in quel modo. Qualcuno potrebbe approfittare di te».

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