CAPITOLO 44.

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Il viaggio prosegue in un silenzio imbarazzante.

È stato un duro colpo per entrambi. Nessuno se lo aspettava.

Non mi immaginavo che avrei parlato con mio padre, per la prima volta dopo tutti questi anni, in un taxi, per giunta in una città diversa dalla nostra.

L'auto si ferma nel parcheggio di un supermercato. Non capisco perché, ma quando vedo che mio padre scende e si avvicina alla mia portiera, capisco che vuole che scenda. Qui non piove ancora, nonostante le nuvole grigie e cariche di pioggia abbiano coperto completamente il cielo.

Scendo titubante dall'auto, e senza preavviso le sue braccia mi avvolgono in un abbraccio.

All'inizio rimango ferma, come paralizzata, ma poi ricambio l'abbraccio... più forte.

Le lacrime, contro la mia volontà, escono e mi rigano il volto.

«Papà. Il mio papà», sussurro con il viso premuto contro la sua spalla.

«Piccola mia», risponde lui con la voce incrinata che trema per l'emozione.

Mi accarezza la schiena con movimenti circolari, proprio come mi faceva quando ero piccola.

Si stacca dall'abbraccio giusto per guardarmi negli occhi, nei suoi stessi occhi.

Mi asciuga le lacrime, e io provo un certo imbarazzo, ma lui mi sorride affettuoso. Sorrido anche io.

«Vuoi sederti sul sedile davanti?», chiede sempre sorridendo.

Annuisco, scendo e faccio il giro della macchina.

Per fortuna non ho messo il mascara, altrimenti a quest'ora sarebbe colato su tutta la faccia, facendomi guadagnare il primo posto nella rubrica "I nuovi mostri".

Mette in moto la macchina e riparte, facendomi mille domande per sapere cosa ho fatto negli ultimi anni. Chiede soprattutto di me, e questo mi fa molto piacere. Mi solleva anche il fatto che non mi abbia domandato nulla su mia madre, che è ancora un tasto dolente.

Gli dico che ho lasciato la pallavolo dopo la sua finta morte e che ho cambiato casa, andando a vivere con altre due persone. Tralascio il fatto che una delle due era uno dei ragazzi che usava per spacciare, ovviamente.

«E la mamma come sta?», chiede imbarazzato.

È la domanda che temevo di più. Abbasso lo sguardo e inizio a giocare con le mie mani.

«Be', l'ultima volta sembrava stare bene».

«L'ultima volta?», chiede confuso mentre sta attento alla strada.

«Sì, abbiamo avuto un litigio e non ci vediamo da un po'». Deglutisco e guardo fuori dal finestrino per ammirare il paesaggio.

Lui annuisce e smette di fare domande.

Grazie al cielo!

L'auto si ferma davanti a una piccola casa gialla.

«Siamo arrivati. Io devo fare solo una telefonata, se vuoi puoi aspettarmi», dice mentre scende dalla macchina.

Lo seguo e gli dico di fare con calma; lo aspetterò.

Rimango a guardare la casa.

È grande, per una persona sola, chissà se ci vive qualcun'altro.

Guardo il giardino e noto che è pieno di fiori colorati. È molto bello! Sembra che sia stato fatto da una...

«Eccomi, possiamo entrare. Tra poco si metterà a piovere», dice passando la mano nei capelli castani, ormai con qualche accenno di grigio.

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