CAPITOLO 23.

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Sono seduta su questa panchina da più di due ore.

Le mani mi tremano e le lacrime scendono senza sosta. Mi sento vuota. Mi manca qualcosa e so benissimo che si tratta di Jacopo.

Pronunciare quelle parole mi ha fatto male, tanto male. Ma penso che, se per un po' di tempo staremo lontani, le cose tra noi due miglioreranno. Non dovrò più stare male come prima.

Dove vado a vivere ora che non ho più una casa?

Non posso tornare da mia madre.

Chiara non ha spazio nel suo appartamento.

Vittorio non lo sento da tanto tempo.

Christian! L'unico problema è che nella casa di Christian ci vive anche Alessia.

Al diavolo! Non intendo fare la barbona solo per lei!

Con le mani che tremano, chiamo Christian e mi faccio venire a prendere.

Passano dieci minuti e la sua macchina mi appare davanti.

«Rebecca! Che è successo?!». Scende dall'auto e mi viene incontro, abbracciandomi.

«Io e Jacopo non stiamo più insieme». Mi si spezza la voce, quando mi rendo conto di ciò che ho detto.

«Non ti devi preoccupare. Vedrai che si sistemerà tutto». Mi apre la portiera e mi fa sedere sul sedile del passeggero.

Sale anche lui dopo aver messo la mia valigia nel portabagagli. Partiamo.

Il silenzio si insinua tra di noi. Nessuno osa parlare.

«Alessia non ci sarà per tre settimane. È andata da mia madre», dice Christian rompendo il silenzio.

«Ah». Non riesco a dire altro.

Non ho voglia di parlare.

Non ho voglia di camminare.

Non ho voglia di pensare.

Non ho voglia di respirare.

Jacopo mi ha prosciugata. Si è preso tutto, mi è rimasta solo la forza di stare in piedi.

«Non ti posso vedere così. Non ci devi pensare e devi sorridere».

Certo, lui la fa facile.

«Io lo amo! Capisci?». Sospiro e mi accascio sul sedile.

«Lo so, Rebecca, ma devi andare avanti per la tua strada. Devi schiarirti le idee».

Odio il fatto che abbia ragione.

Ho bisogno di tempo per stare da sola.

«Vedo che sotto quei ricci si nasconde un po' di saggezza».

Rido.

«Tutti che se la prendono con i miei ricci». Mette il broncio, e io non posso fare altro che continuare a ridere.

«Povero cucciolo!», esclamo scompigliandogli i capelli.

«La tua stanza sarà quella degli ospiti», dice indicandomi la porta in fondo al corridoio.

«Grazie», rispondo aprendo la porta.

«Rebi, per qualsiasi cosa sono qui».

Sorrido ed entro nella camera.

È una stanza semplice. Le pareti sono color crema e l'armadio è bianco.

Il letto è a una piazza.

Apro la valigia e inizio a mettere i miei vestiti nell'armadio. Maglia dopo maglia, pantalone dopo pantalone, tra le mani mi capita la felpa di Jacopo. Resto immobile a guardarla. Ha ancora il suo profumo. Una fitta al cuore mi colpisce e mi ricordo dei bei momenti passati con lui. Sono stata una stupida a dire di non voler più stare con lui, ma forse in questo modo capirà che non dovrà più farmi del male.

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