CAPITOLO 34.

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Mi affaccio alla finestra e vedo la sua macchina allontanarsi.

Non sento nulla. Nessuna emozione. Niente di niente.

È strano, molto strano, vedere la persona che amo andarsene via e non provare nulla.

Sono confusa, stanca.

Prendo di nuovo il cellulare e chiamo immediatamente Chiara.

«Chiara. Ho bisogno che tu venga a casa mia», dico appena lei risponde.

«Buongiorno anche a te. Da quanto tempo che non ti fai viva! Neanche una chiamata e neanche uno stramaledetto messaggio! Ci hai fatto preoccupare!», sbraita.

Ecco, lo sapevo.

«Muovi quel culo e vieni qua. Ti devo raccontare troppe cose!», esclamo, poi chiudo la chiamata.

Butto il telefono sul divano e vado in camera per vestirmi, visto che sono ancora in biancheria intima.

Prendo un maglione gigante grigio e dei leggings neri, e senza guardarmi allo specchio mi lego i capelli in una coda disordinata.

Dopo venti minuti passati ad aspettare seduta sul divano a guardare il vuoto, sento il campanello suonare.

Mi alzo di scatto e vado ad aprire la porta.

«Finalmente! Sei lenta come un bradipo!», urlo contro Chiara, e con un gesto della mano la faccio entrare.

«Non urlare, deficiente! Ho un mal di testa incredibile!», risponde togliendosi gli occhiali da sole.

Noto che ha gli occhi rossi, non ha una bella cera.

«Ma che hai combinato?».

«Ieri sera sono andata a una festa e la cosa è degenerata. Alla fine ero ubriaca fradicia e pure fumata», dice sedendosi su una sedia.

«Fumata?! Che hai fumato?!».

È possibile che la lascio da sola per alcuni giorni e me la ritrovo in questo stato?

«Non erano sigarette normali, questo è poco ma sicuro». Si massaggia la testa.

Alzo gli occhi al cielo e mi siedo accanto a lei.

«Quanto sei immatura, Chiara».

«Ahahah! Taci. Piuttosto: dov'è Jacopo?».

Sospiro appena sento pronunciare il suo nome.

«Se ne è andato», rispondo semplicemente.

«Avete litigato di nuovo?».

Annuisco.

«Racconta, dai».

La amo troppo.

Le racconto tutto, dalla sera del mio compleanno fino a ieri sera, ovviamente tralasciando i particolari sull'incontro con Theo. Solo a pensarci mi vengono di nuovo i brividi.

«Che stronzo!», urla Chiara alla fine.

«Lo so, lo so», replico sconsolata.

«Senti, Rebecca, volevo dirtelo da tanto tempo, ma non credevo che la situazione degenerasse in questo modo».

Il mio cuore si ferma. Cosa deve dirmi?

«Non voglio giudicare ciò che avete fatto tu e Jacopo, sia chiaro. Credo che avete fatto le cose troppo in fretta. Secondo me non vi siete conosciuti abbastanza bene e questo è il risultato. Litigate sempre e finite col farvi del male a vicenda». Si ferma per riprendere fiato. «Wow! Fare questi discorsi con questo mal di testa è come assistere a una lezione di Matematica senza addormentarsi. Molto faticoso!».

Riesce a essere ironica anche in queste circostanze.

Forse ha ragione. Abbiamo fatto tutto troppo in fretta, ma ormai ciò che è fatto è fatto.

«Magari potresti provare a passare dei giorni da sola e schiarirti le idee; poi, quando avrai preso una decisione, ne parlerai con Jacopo», continua interrompendo i miei pensieri.

«Grazie, Chiara, davvero».

«Oh, ma figurati! A proposito, Alessia è tornata e Christian ha organizzato una festa per lei il prossimo sabato. So cosa è successo tra te e lei, ma potresti venire giusto per divertirti un po'!».

Alessia! Me ne ero dimenticata!

«Prenderò in considerazione questa festa». È un "no" a prescindere, ma non voglio essere sgarbata.

«Grazie! Mi faresti un piacere!», esclama abbracciandomi.

«Ho ricevuto una lettera da mio padre», dico a bassa voce.

«Come?! Cosa?! Che c'è scritto?! Oh mio Dio!». È più agitata di me, a momenti!

«Calma! Ora te la vado a prendere».

Mi alzo e corro in camera, afferro la lettera e ritorno da Chiara.

«Ecco».

Lei comincia a leggere e quando arriva alla fine spalanca gli occhi e la bocca.

«Hai idea di quanti soldi sono?!», urla mettendo la lettera sul tavolo.

«Sì, parecchi. Per questo ho deciso di non accettare tutta quella somma e di restituirgliela», rispondo riponendo la lettera dentro la busta.

«Cosa?! Tu sei pazza!».

«No! Non lo vedo da tanti anni e non posso accettare, tutto qui».

Sento il telefono di Chiara vibrare. Lei lo prende in mano e legge il messaggio.

«Scusa, ma mia madre ha bisogno di me. Ne riparliamo poi!», dice lasciandomi un bacio sulla guancia e uscendo da casa.

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