CAPITOLO 49.

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Appena entro in bagno quasi svengo dall'odore che c'è.

Ci sono un piccolo lavandino, uno specchio sporco e un unico water. Cosa volevo aspettarmi? Un bagno di lusso come in certi ristoranti? Spero solo che Jacopo si sbrighi ad arrivare.

Sento la porta aprirsi e mi giro di scatto.

«Oh!», esclama Jacopo entrando con un'espressione di disgusto sul viso.

«Più che un bagno sembra...». Lo fermo.

«Non lo dire. Potrei vomitare il poco che ho mangiato oggi».

Annuisce e si avvicina a me, io indietreggio.

Ci guardiamo per qualche secondo senza dire una parola, ma lui distoglie lo sguardo e apre il rubinetto.

«Forse dovremo uscire da qui e andare nel guardaroba», dice mentre bagna la carta che ha in mano.

«Oh, sì. Quindi, io vado», balbetto e gli passo accanto per uscire, ma il suo profumo mi invade le narici.

Mi fermo per un millesimo di secondo e chiudo gli occhi, continuando ad aspirare quel profumo che ho amato tanto. Penso a quanto sia fortunata Melissa.

«Tutto okay?». Mi riscuote dai miei pensieri e ritorno alla realtà.

Dico di sì ed esco dal bagno. La musica sembra essere più forte rispetto a prima e in pista ci sono sempre più persone.

Cammino lentamente verso il guardaroba, quando due mani mi afferrano i fianchi e mi spingono.

Penso sia il ragazzo che prima si strusciava su di me in pista, ma quando sento il profumo di Jacopo mi calmo e mi lascio condurre da lui. È come un tranquillante, quel profumo.

Arriviamo nella stanza e Jacopo chiude la porta, rimaniamo completamente al buio.

«Ci mancava solo questa», sbuffa lui.

«Cosa?», domando girandomi, ma vedo solo il buio che ci circonda.

«Non va la luce», risponde dando un pugno a non so cosa.

«Dammi il telefono», dice dopo alcuni istanti di silenzio.

«Perché?».

«Dammelo e basta», ringhia. Lo estraggo dalla tasca e glielo porgo.

L'ultima cosa che voglio in questo momento è vedere Jacopo arrabbiato.

Vedo il display illuminare il suo viso e non posso fare a meno di guardarlo. Un ciuffo ribelle gli cade sulla fronte e con un gesto della mano lo riporta al suo posto.

Qualsiasi cosa faccia e dica è tremendamente bello.

«Vuoi continuare a fissarmi, o vuoi ripulire lo schifo che hai sulla maglia?», chiede puntandomi il flash addosso.

Mi copro gli occhi con le mani per evitare di diventare cieca e rispondo: «Dammi la carta».

Abbassa il telefono, mi porge la carta e illumina la macchia sulla maglia.

«Chissà cosa diavolo è», dico strofinando la macchia con la carta bagnata. Non se ne vuole andare, la maglia continua a essere appiccicosa e sporca.

«Ci rinuncio».

Butto a terra la carta e sbuffo.

Jacopo inizia a ridere, ma si ferma quando vede la mia espressione.

«Non vorrai mica andare così a una festa».

«Ho altra scelta? In più la maggior parte delle persone lì fuori è ubriaca e non se ne accorgerebbe».

«Ma le ragazze sì e avranno un argomento di cui parlare per i prossimi mesi».

In effetti ha ragione. Le ragazze della nostra scuola parlano male di chiunque; e se non vuoi che si parli di te, devi avere sempre un aspetto e un comportamento impeccabili.

Abbasso la testa e mi guardo le scarpe, pensando a una soluzione.

«Vuoi stare qua a guardarti le scarpe?», chiede scocciato.

«Non sono stata io a chiederti aiuto. Avrei fatto anche da sola, quindi se ti dispiace stare qua e non da Melissa, puoi anche andartene».

Fa un respiro profondo e si avvicina a me per poi poggiare la schiena sul muro dietro di noi.

Di colpo mi viene in mente il fatto che non ho indossato un reggiseno normale, ma un top sportivo simile a quelli di Calvin Klein.

«Tieni», dico togliendomi la giacca di pelle e dandoglielo.

«Cosa pensi di fare?», chiede.

Non gli rispondo e mi tolgo la maglia per poi pigiarla in una delle tasche della mia giacca.

«Non penserai di andare lì fuori così».

«Indosserò la giacca e sembrerà un semplice top», ribatto, come se fosse la cosa più ovvia al mondo.

«Sì, ma sei così. Cioè, così. Ah, merda».

Appoggia il telefono sopra le giacche, si avvicina velocemente a me e mi afferra i fianchi.

Mi tira a sé e si avvicina con le labbra al mio orecchio.

«Sei così fottutamente bella, Rebecca», sussurra e lascia un bacio sotto l'orecchio.

Mille brividi mi percorrono la schiena e le farfalle nella pancia tornano a volare.

Il mio cervello mi dice di respingerlo e andarmene, ma il mio corpo ormai è succube di lui.

Continua con la scia di baci lungo il collo fino ad arrivare la mandibola, per poi fermarsi.

Mi guarda dritto negli occhi come per chiedermi il permesso e senza pensarci mi mordo il labbro. È bastato questo gesto a farlo fiondare sulle mie labbra con foga.

Ricambio il bacio e in men che non si dica mi ritrovo schiacciata tra il muro e Jacopo.

Continuiamo a baciarci fino a quando Jacopo non inizia a vagare con le mani sulla mia schiena. Ogni centimetro di pelle scoperta brucia al suo tocco.

Le sue mani scendono lentamente sul mio sedere, per poi stringerlo e avvicinare il mio bacino contro il suo.

Gemo, e Jacopo sembra gradirlo, perché mi sposta lentamente verso il tavolo su cui sono poggiate le giacche.

Fa aderire completamente la mia schiena contro la superficie del tavolo e porta le mie braccia sopra la mia testa.

Inizia a baciarmi la pancia per poi salire fino alle clavicole.

So bene cosa sta succedendo e lo blocco.

«È sbagliato», dico ansimando.

«Non puoi fare un'eccezione?», chiede con aria implorante.

«Ne ho fatte troppe, Jacopo. Ti ho chiesto di uscire dalla mia vita e questo non è il modo per farlo».

Scendo dal tavolo, afferro il telefono e la giacca di pelle ed esco dalla stanza, lasciando per la seconda volta Jacopo da solo.

Compagni di StanzaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora