CAPITOLO 14.

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«Piccola svegliati». La voce di Jacopo interrompe il mio sogno.

«No ancora un po'», dico girandomi dall'altra parte.

Sento il materasso piegarsi e capisco che Jacopo si è seduto sul letto.

«Che ore sono?», chiedo tirandomi le lenzuola sopra la testa.

«Le otto», risponde lui tirandomi giù la coperta.

«Le otto?! Dobbiamo andare a scuola!», urlo alzandomi dal letto, ma un dolore lancinante alla pancia e alle gambe mi assale. «Cazzo», impreco.

«Piccola, devi fare piano. Ora ti metto la pomata e ti cambio le bende».

«Voglio andare a scuola». Incrocio le braccia e lo guardo con aria di sfida.

«Non se ne parla. Guarda in che condizioni sei!».

Ce la posso fare. Non posso perdere troppe lezioni. «Ci voglio andare! E se non mi porti tu, mi farò accompagnare da qualcun altro», esclamo.

«Prima ti cambio le bende e poi andiamo a scuola. Contenta?». Jacopo sbuffa e si dirige in cucina per prendere l'occorrente per la medicazione.

«Ti amo!», urlo dalla camera da letto.

Lo sento correre ed entrare in camera. All'improvviso le sue labbra sono sulle mie. Non smetterò mai di volere quelle labbra.

«Anch'io».

Mi sfila con delicatezza la maglia e i pantaloni del pigiama, e toglie le bende.

Un gridolino di dolore esce dalla mia bocca, ma lo soffoco.

«Scusami». Posa le bende sul letto e apre la pomata.

Come fa a essere così sexy con i capelli tutti scompigliati e con l'aria così concentrata?

Indossa solo dei pantaloncini neri e io ne approfitto per bearmi della visione dei suoi addominali.

Mentre sto guardando il suo fisico, noto un nuovo tatuaggio.

Quando se lo è fatto?

Non riesco a capire che cosa sia.

«Che cos'è quel tatuaggio?», chiedo rimettendomi i pantaloni.

«È un girasole», risponde aiutandomi a mettere la maglia.

«Quando e perché te lo sei fatto?». Lo so, gli sto facendo il terzo grado, ma non posso farci nulla. Sono troppo curiosa.

«L'ho fatto nei giorni in cui non ci parlavamo. È il tuo fiore preferito», risponde serenamente.

Il mio cuore perde almeno due battiti. Per chiunque potrebbe essere una sciocchezza, ma per me è un gesto bellissimo.

Prendo il suo viso tra le mani e lo bacio.

«Se vogliamo andare a scuola ci conviene prepararci», dice staccandosi dal bacio.

Controvoglia, mi alzo lentamente dal letto e vado verso l'armadio. Indosso un maglione di Jacopo, dei jeans larghi che non fanno attrito sulle bende e le Stan Smith. Poi prendo lo zaino e vado in salotto. Jacopo è già pronto. Indossa una maglia semplice, grigia, con sopra una felpa nera, dei jeans neri e come tocco finale un cappellino di lana grigio.

Dio, se è bello.

È perfetto.

«Sono pronta!», urlo. Lui fa un sussulto. Mi metto a ridere, ma smetto subito perché sento un dolore alla pancia.

«Cazzo di tagli», mormoro tenendomi la pancia.

«Sono pronto anche io», replica prendendo il suo zaino, le chiavi e la sedia a rotelle.

«Io quella non la uso», dico indicando la sedia a rotelle.

Non voglio andare di nuovo su quell'affare. Le mie gambe funzionano, più o meno, e camminerò da sola.

«Oh, sì che la usi», risponde Jacopo spingendola verso di me.

«Ho detto no! Devo cominciare a camminare di nuovo con le mie gambe».

Se insiste, giuro che gli do un pugno.

«Va bene, ma ti aiuto».

Meno male che non ha insistito!

Saliamo in macchina e arriviamo davanti alla scuola.

«Sei pronta per entrare all'inferno?», mi chiede aprendomi la portiera.

«Solo perché ci sei tu al mio fianco», rispondo scendendo dalla macchina e mettendomi lo zaino in spalle.

La campanella suona, è appena iniziata la seconda ora. Vedo gli altri studenti della scuola uscire e riversarsi nel cortile.

«Come mai escono alla seconda ora?», domando a Jacopo mentre ci incamminiamo verso il cortile.

«Ogni ora ci sono quindici minuti di pausa in cui gli studenti possono uscire e andare in cortile», mi risponde mentre con gli occhi sembra cercare qualcuno.

In lontananza vedo una ragazza corrermi incontro.

«Oddio, Rebecca! Cosa ti hanno fatto?!», esclama lei preoccupata. Credo si chiami Chiara.

«Ehm... ciao, Chiara! Mi sono solo fatta male. Nulla di che».

Lei si avvicina al mio orecchio e mi sussurra: «So cosa è successo. Tranquilla, non dirò niente a nessuno».

La guardo stupita e lei si mette a ridere.

«Ora devo andare a ripassare Storia. Quello stronzo del professore mi interroga, perché ho insultato Alessia. Che tipo», dice abbracciandomi. Poi la vedo incamminarsi verso l'aula.

Chiara è una ragazza molto bella: alta, occhi azzurri, capelli biondo cenere e un carattere molto particolare. Credo che avremo un bel rapporto.

Mentre mi giro dall'altra parte, vedo Jacopo che sta parlando con Alessia.

Che cosa hanno da dirsi?!

Che vuole quella zoccola da lui?!

Jacopo si sta fumando una sigaretta, mentre Alessia gli sta puntando il dito contro.

Alessia di scatto si gira verso di me e incomincia a correre.

Ora cosa faccio?

Scappo? No, sarebbe troppo da codarda.

Le tiro un pugno? No, rischio la sospensione.

«Rebecca, come stai?», mi chiede con voce innocente.

«Con quale coraggio ti presenti qui davanti a me? Stavo meglio prima di vederti, nonostante tutti questi tagli».

Jacopo si avvicina a me e mi prende la mano.

«Non glielo hai ancora detto, Jacopo?», dice Alessia, schifata.

«Dirmi cosa?!». Mi sto arrabbiando.

«È meglio se glielo dici tu», continua quella specie di cagna in calore.

«Jacopo! Cosa devi dirmi?!», urlo in mezzo al cortile.

«Ne riparliamo a casa. Ora entriamo», e mi sorregge per aiutarmi a camminare.

Voglio sapere cosa deve dirmi.

Le ore di lezione passano molto lentamente, ma quando l'ultima campanella della giornata suona, usciamo da quell'inferno che chiamano scuola.

All'uscita mi aspetta Jacopo con una sigaretta in bocca e con tre ragazze che lo guardano come se fosse un dio greco.

Galline, scusatemi ma lui è mio.

Che rabbia!

«Ehi, piccola». Mi saluta e mi bacia.

«Mi sono mancati i tuoi baci per tutto il giorno», dico salendo in macchina e accendendo la radio. 

Compagni di StanzaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora