CAPITOLO 1.

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Considero deboli le persone che trovano un pretesto per poter scappare dai loro problemi, ma ora che sono passata dall'essere forte all'essere debole ho capito che questa è la via più facile.
Pensavo che sarei stata in grado di superare tutti gli ostacoli che la vita voleva impormi, ma sono arrivata al punto di evitarli e lasciarmeli alle spalle. Ormai ho smesso di lottare da tempo e ho raccolto tutte le forze che mi sono rimaste per poter iniziare una vita nuova: è l'unica cosa che mi resta da fare.
La luce del sole filtra dalla finestra, e mi costringo ad alzarmi dal letto. Poso i piedi sul pavimento freddo e fisso le pareti spoglie della mia stanza.

Ho pensato a lungo a come sarebbe stato questo giorno: grigio. "Grigio" è la parola giusta per descriverlo.

La casa è silenziosa, si sentono solo i passi di mia madre che vanno da una parte all'altra della cucina. È sempre stata contraria al mio trasferimento, nonostante mi abbia appoggiata in tutte le scelte che ho fatto.

Mi alzo dal letto e, svogliatamente, mi dirigo in bagno. Ho un aspetto orribile: non ho chiuso occhio tutta la notte a causa dei pensieri. Mi lavo i denti e mi sciacquo il viso meccanicamente, senza pensarci.

Mi asciugo con un asciugamano perfettamente piegato accanto al contenitore dello spazzolino e del dentifricio e, non appena alzo la testa, la figura minuta di mia madre mi guarda attraverso il riflesso dello specchio.

Rimane in silenzio, senza dire una parola. So che ha molte cose per la testa che non vuole dire per evitare di alimentare la mia confusione.

«A cosa stai pensando?», le chiedo guardandola negli occhi e cercando di cogliere le sue emozioni. Dopotutto gli occhi sono lo specchio dell'anima.

«Ti ho lasciato la colazione sul tavolo», risponde. Evita la mia domanda ed esce dal bagno.

Non riesco a non sentirmi in colpa. La lascerò sola, scappando da tutto come una codarda.

Ritorno nella mia stanza e prendendo gli ultimi vestiti che non ho messo in valigia. Mi cambio velocemente. Faccio dei respiri profondi mentre raccolgo i capelli in una coda alta. Sin da piccola mi hanno sempre fatto i complimenti per i miei capelli castani e i miei occhi verde smeraldo.
Do un'ultima occhiata alla stanza nella quale da piccola giocavo con le bambole e da adolescente passavo le notti insonni, ed esco lasciandomi alle spalle un altro pezzo del mio passato.

«Rebecca, hai finito di fare colazione?».

«Sono appena scesa in cucina».

Seguo l'odore di frittelle che proviene dal piatto sul tavolo e mi siedo. Ne afferro una alla Nutella e la taglio lentamente. Sembra che il mio corpo voglia rimanere qui, mentre la mia mente non vede l'ora di andarsene.

Durante questi tre mesi di vacanza ho riflettuto a lungo, ma pare che non sia servito a nulla: sto per lasciare tutto e andare via, ma non riesco ancora a capire veramente cosa significhi tutto questo.

«Ora hai finito?», chiede mia madre entrando in casa e abbassandosi la zip della giacca.

Annuisco e metto il piatto sporco e le posate nel lavello.

«Devi caricare qualcos'altro?», domando sperando di avere ancora un po' di tempo.

«Ho messo in macchina l'ultimo scatolone proprio ora».

Guardo i miei piedi scalzi: è arrivato il momento che tanto temevo.

«Non devi andartene per forza. Possiamo trovare una soluzione insieme».

«Hai pronunciato questa frase milioni di volte e non è mai cambiato nulla. Partire è la cosa migliore da fare».

«Non è cambiato nulla perché non ci siamo impegnate abbastanza. Insieme capiremo come fare».

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