CAPITOLO 54.

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JACOPO

Ed eccomi qua, davanti alla lapide di mia madre e di mia sorella con un mazzo di fiori in mano.

Ieri sera avevo scelto di non partire più, ma mio zio mi ha obbligato a preparare la valigia e a fare il pieno alla macchina per il viaggio.

Ho passato la notte in bianco per colpa dei pensieri che mi tormentavano. Come posso partire sapendo che si avvicina il giorno della data in cui la mia famiglia si è distrutta completamente?

Mi sento fottutamente in colpa. Se non avessi fatto quello sbaglio, forse a quest'ora avrei avuto una famiglia come tutte le altre.

«Scusatemi», riesco solo a dire questo.

Un banale scusa. Poso i fiori che ho preso precedentemente dalla fioraia e sfioro con le dita la foto della donna che ho amato da sempre.

«Io non volevo, mamma. Davvero non era mia intenzione uccidervi».

Da sempre mi sono dato la colpa per ciò che è successo, nonostante mi abbiano detto che incidenti di questo tipo capitino spesso.

Mi asciugo la lacrima che mi è scappata e mi stringo di più nella mia giacca.

Sono le sei e quaranta di mattina, sarà meglio ritornare a casa di Davide. Prima di andarmene, però, accarezzo un'ultima volta la foto di entrambe e le saluto come se fossero qui, davanti a me.

Mi incammino verso l'uscita di questo luogo triste e noto una donna inginocchiata davanti a una lapide bianca. Sono troppo lontano per sentire le parole che sta pronunciando. Sta piantando e innaffiando dei fiori.

Rimango fermo, immobile, davanti alla figura di quella povera donna con il senso di colpa che lentamente mi divora.

Il senso di colpa: la causa per cui mi sono sempre rifiutato di venire qui.

«Serve aiuto?», chiedo alla signora inginocchiata.

Senza rendermene conto, mi sono avvicinato piano piano a lei.

La signora si gira velocemente verso di me, come se si fosse spaventata. Dalle rughe pronunciate e dai capelli bianchi che si intravedono sotto il suo buffo cappello, si direbbe che è una donna anziana.

«Non ti obbligo a rimanere qui, giovanotto. Vai pure a casa». La donna fa un ampio sorriso e ritorna a piantare i fiori ignorando completamente la mia presenza.

«Insisto».

«Ci tieni ad aiutarmi?», domanda interrompendo il suo lavoro e fissandomi.

Annuisco in silenzio e tengo fisso lo sguardo su di lei.

«Aiutami a piantare questi», dice indicando tre vasi che contengono fiori di diversi tipi e colori.

Mi inginocchio sul terreno umido e inizio a scavare la prima buca. Non l'ho mai fatto, nemmeno quando la mamma aveva il suo grande giardino. Passava pomeriggi interi a occuparsi dei fiori.

«Sei la prima persona che si è offerta di aiutarmi», dice continuando a scavare nel terreno.

«Forse perché non tutti sono gentili come me», rispondo, anche se avrei dovuto dire: "Forse perché non tutti hanno il senso di colpa che ho io".

La signora fa una debole risata e si ferma per sistemarsi meglio il cappello di lana che le era caduto, mentre intanto pianto il primo vaso.

«Ormai sono anziana e inizio già a pensare al fatto che nessun'altro si occuperà della tomba di mio marito quando io non ci sarò più».

Le sue parole mi procurano una fitta alla bocca dello stomaco. Lei si è sempre presa cura della tomba del marito, nonostante la sua età; mentre io, non ho mai portato dei fiori a mia madre e a mia sorella.

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