CAPITOLO 19.

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«È meglio se vai a chiedere scusa a Christian». Jacopo mi libera dall'abbraccio e mi guarda. «Lo so che fai fatica a chiedere scusa, ma questa volta hai proprio esagerato». Si passa una mano tra i capelli e ritorna a guardarmi.

Abbasso la testa e fisso il pavimento, come se fosse la cosa più interessante del mondo.

«Tieni questo. Prendi la mia macchina, se vuoi andare». Mi porge un biglietto con un indirizzo.

«Di chi è? Non mi puoi accompagnare?», chiedo prendendo in mano il foglietto.

«È l'indirizzo di Christian. E no, non posso accompagnarti. Devo sbrigare delle cose», risponde andando in camera.

«Che tipo di cose?».

Lo so, ma mia curiosità a volte è insopportabile.

«Sono affari miei, Rebecca», risponde duro uscendo dalla camera.

Si è cambiato. Ora indossa un maglione e dei pantaloni della tuta.

«Come non detto. Io vado. Grazie», replico mentre esco di casa.

Vorrei sapere dove va, con chi va, cosa fa, ma sono cose sue. Non posso intromettermi sempre.

"Sono affari miei, Rebecca", scimmiotto la sua voce infastidita.

Entro in macchina e mi dirigo verso la via dove abita Christian.

Dopo venti minuti la trovo.

«Dio! Ti ringrazio!», urlo appena scendo dalla macchina.

Rebecca, frena.

Perché dovrei?

Cosa gli dici? Solo "scusa"?

Devo fare un discorso!

Rimango dieci minuti davanti alla porta con il discorso da fare che mi frulla nella testa, finché decido di suonare il campanello.

Christian apre la porta, e io inizio a parlare a raffica: «Senti, sono venuta fino a qui solo per chia...». Ma m'interrompo appena noto che Christian indossa solo i boxer.

Divento subito rossa e abbasso la testa.

«Continua, mia cara Rebecca», dice Christian sorridendo.

Ma perché cazzo sorride?

«S-sono venuta per-per... Al diavolo! Copriti, stupido, se no non riesco a parlare!». Mi rassegno e lo spintono entrando in casa.

Ride mentre si infila un paio di pantaloni.

«Ora va meglio?», mi chiede.

«Decisamente». Sospiro e mi siedo su una sedia.

«Allora. Mi dispiace per oggi, ma è stata una giornata abbastanza difficile e io ho perso il controllo. Me la sono presa con te per un motivo poco valido e ho reagito in quel modo senza pensarci. Scusami».

Lui sorride.

Sorride? Perché sorride?

«Perdonata». Mi abbraccia e mi stringe forte a lui.

I suoi abbracci. Dio, se sono belli.

«Christian, dove hai messo la mia canottiera?». Una voce femminile, familiare, interrompe il nostro abbraccio.

«Sul divano», risponde lui tranquillamente.

«Alessia?!», quasi urlo vedendola.

Non la vedevo da un mese. Non viene più a scuola. È sparita.

«R-Rebecca?», balbetta.

«Che ci fai tu qui? Christian, te la sei scopata?», chiedo innervosita a Riccioli d'oro.

«Non mi scopo mia cugina. Sei pazza?», e ricomincia a ridere.

Sua cugina?! Christian. Alessia. Cugini?

«Siete cugini?», chiedo a entrambi.

«Purtroppo sì», risponde Christian aprendosi una brioches.

«Io non ne sapevo nulla. Forse è meglio che vada. Ci sentiamo, Riccioli d'oro». Prendo la mia borsa e vado verso la porta.

«Ci sentiamo», risponde Christian.

Bene. Ora posso andare.

Entro in macchina e metto la testa sopra il volante.

Cos'altro devo scoprire?

Metto in moto e vado verso casa. Chissà dov'è Jacopo. Con chi sarà? Cosa farà?

Basta domande! Basta intromettersi nella sua vita.

Ma è il mio fidanzato.

Vero, ma è giusto che non m'intrometta troppo.

«Jacopo sono in casa», urlo aprendo la porta.

«Hai chiesto scusa?». Jacopo esce dal bagno con un asciugamano in vita.

Spalanco gli occhi e divento subito rossa. È possibile che mi faccia sempre lo stesso effetto?

«S-sì», balbetto un po' e butto la borsa sul divano.

«Amo quando diventi rossa per colpa mia». Sorride malizioso e si avvicina a me.

«Ah sì?». Stringo le mie braccia attorno ai suoi fianchi.

È ancora un po' bagnato, quindi il mio maglione si inumidisce un po'.

«Sì», risponde con voce sensuale.

Mi prende il viso fra le mani e mi bacia.

Con la lingua picchietta sul mio labbro inferiore; io apro la bocca facendola entrare.

Mi afferra dalle gambe e mi prende in braccio. Il nostro bacio diventa sempre più passionale.

Mi appoggia al muro e mi toglie il maglione.

«Ti amo», dice con voce roca, e inizia a baciarmi il collo.

«Anche io», rispondo ansimando.

Mi porta in camera e mi fa stendere sul letto, ma il campanello suona.

«Proprio ora?!», sbraita Jacopo.

«Aspettami qua. Torno subito». Prendo una maglia di Jacopo, me la infilo e vado verso la porta.

«Fai veloce! Ho voglia di te», urla Jacopo dalla camera.

Sorrido e apro la porta.

Ma il mio sorriso cessa subito.

«Mamma?!», grido stupita.

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