CAPITOLO 22.

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Appena uscita di casa prendo il telefono e chiamo Chiara, dandole appuntamento al centro commerciale. Poi telefono a Christian e gli dico di raggiungermi lì.

Decido di non prendere la macchina, ma di andare a piedi.

Devo sfogarmi con qualcuno e i miei due migliori amici sono le persone ideali. È strano chiamare Chiara e Christian migliori amici.

Senza che me ne sia accorta, dopo un po' arrivo al centro commerciale. Prendo le scale mobili e vado al bar in cui ci siamo dati appuntamento. In un tavolo lontano vedo Christian, mi precipito da lui e lo abbraccio.

«Ehi, così mi soffochi», mi prende in giro Christian.

«Taci, scemo». Sorrido e mi siedo.

«Cosa devi dirmi?», mi chiede lui curioso.

«Aspetta, Riccioli d'oro. Deve ancora arrivare una persona».

Guardo l'entrata del bar, a un certo punto vedo una chioma bionda entrare e d'istinto alzo la mano per farmi vedere.

Chiara mi vede e corre incontro a me tenendo per mano una bambina.

«Scusami per il ritardo, ma dovevo portarmi dietro anche lei», dice indicando la bimba.

È molto bella. Ha i capelli biondi e gli occhi verdi. È davvero piccola.

«Tranquilla. Lei chi è?», domando sorridendo alla bambina.

«Si chiama Carola. È mia sorella». Chiara si siede sulla sedia di fronte a Christian, mentre Carola si accomoda di fianco a me.

«Chiara, lui è Christian. Christian, lei è Chiara». Si stringono la mano e si scambiano un sorriso.

«Perché ci hai chiamati?», chiede allarmata Chiara.

«Calma! Ve lo dirò dopo, ma ora divertiamoci», rispondo mentre con un cenno chiamo una cameriera.

Ordiniamo tutti e quattro una cioccolata calda con della panna sopra.

Mi scambio di posto con Christian per poter parlare meglio con Chiara.

Finalmente la cioccolata è arrivata, Christian e Carola si stanno spalmando la panna in faccia e Carola ride come una matta.

«Carolina mia, stai ferma che ti devo pulire, se no tua sorella mi ammazza!», dice Christian con un fazzoletto in mano.

«Ehi! Carola è mia!», esclama Chiara ridendo e schiaffeggiando Christian sul braccio.

«Ma come?! Io e lei siamo fidanzati. Vero Carola?».

Carola annuisce entusiasta e con la sua vocina aggiunge: «Io e Christian ci sposeremo!»

Io e Chiara scoppiamo a ridere vedendo la faccia sconvolta di Riccioli d'oro.

«Carolina mia, il matrimonio è troppo. Io sono troppo giovane».

Continuiamo a ridere a squarciagola, mentre gli altri avventori del bar iniziano a guardarci male.

«Oddio! Potevi rimanere incinta?! Capisco la reazione di Jacopo, ma è stata decisamente esagerata!», sbotta Chiara appena finisco di raccontare cos'è successo.

«Forse anche io avrei reagito così. Avere un figlio a diciotto anni sarebbe un trauma, per me». Forse Christian ha ragione. Ma vedere Jacopo diventare così freddo mi ha fatto paura.

Non volevo rivivere la stessa situazione di anni fa. Avevo paura di quello.

«Ma sei scemo?! Che cazzo c'hai sotto quei ricci? La segatura, per caso? Doveva ricordarsi il preservativo e tutta questa storia non sarebbe successa! Punto», urla Chiara.

Christian tappa le orecchie di Carola per impedire che la bambina senta altre parolacce. È una scena a dir poco comica.

«Non insultare i miei ricci», si difende Riccioli d'oro.

«Ehi! Basta parlare dei ricci di Christian. Ora devo tornare a casa. Ci vediamo a scuola!». Do un bacio a tutti e tre e me ne vado.

Si è fatto un po' buio, ma per fortuna sulla strada che devo percorrere ci sono tanti lampioni.

Mentre sto camminando, una voce maschile familiare mi ferma.

«Rebecca! Fermati!». Mi giro e vedo l'unica persona al mondo che non vorrei mai e poi mai vedere.

«Vattene, Lorenzo!». Accelero il passo, ma lui mi afferra il polso con una mano.

«Lorenzo! Lasciami stare». Quel contatto mi innervosisce. Se penso a quella sera, mi vengono i brividi.

«Devo parlarti. Davvero». Lui si toglie il cappuccio e mi guarda negli occhi.

«Quando ti guardo provo solo schifo», gli urlo in faccia.

«Tuo padre è qui in città. Sta cercando me, te e Jacopo. Si vuole vendicare per quello che ti ho fatto». Fa una pausa, poi continua: «Vuole vederti. Dopotutto sei sua figlia».

«Cosa vuole da Jacopo?», domando.

«Anche lui c'entra, o meglio c'entrava. Doveva essere lui a fare quello che ho fatto io, ma ha cambiato idea. Non so per quale motivo, ma ha cambiato idea».

Jacopo doveva fare quello che ha fatto Lorenzo? Quindi mi ha presa in giro per tutto questo tempo.

«Lasciami!». Voglio urlare, ma riesco soltanto a sussurrare.

«Stai attenta, Rebecca. Tuo padre non è un uomo affidabile», mi dice Lorenzo prima di lasciarmi e di proseguire per la sua strada.

Inizio a piangere. Le lacrime scorrono veloci, troppo veloci sul mio viso.

Ultimamente mi capita così spesso. Non sono più forte come prima.

Continuo a camminare verso casa e dopo circa venti minuti arrivo. Ho camminato lentamente, volevo arrivare il più tardi possibile.

Apro lentamente la porta e vedo Jacopo e Davide giocare alla PlayStation. Jacopo mi guarda con occhi sgranati e si alza subito per venire verso di me.

«Piccola, che ti è successo?». Con una mano mi accarezza una guancia, ma io gliela tolgo subito.

«Non mi toccare». Lo guardo freddamente

Lui mi getta un'occhiata interrogativa.

«Dovevi fare tu quello che ha fatto Lorenzo. Vero?!». Sto urlando.

Lui apre la bocca e spalanca gli occhi.

Non proferisce parola.

«La nostra relazione è stata solo uno stupido gioco per vendicarti di mio padre?! Rispondi, Jacopo». La voce mi si spezza in gola.

Si passa una mano fra i capelli e fa un lungo respiro.

«All'inizio sì, ma ora no. Io ti amo, Rebecca». Mi guarda dritto negli occhi.

«Mi ami, eh?». Rido con un velo di amarezza. «Mi hai fatta stare male tante volte, Jacopo. Ma questa è la goccia che fa traboccare il vaso. Forse è meglio se proseguiamo ognuno per la propria strada». Pronuncio le ultime parole con dolore. Sono come veleno.

Jacopo mi guarda senza dire nulla e vado in camera.

Prendo la stessa valigia con cui sono entrata in questo appartamento e la riempio con tutti i miei vestiti e altri oggetti personali.

«Dove pensi di andare?!», sbraita Jacopo.

Ho un sussulto.

«Me ne vado», mi limito a dire.

«Dove vivrai, Rebecca?», mi chiede distrutto.

«Non lo so». Apro la porta ed esco.

«Ti amo anche io, Jacopo».

Poi scendo le scale

Compagni di StanzaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora