CAPITOLO 36.

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È lunedì mattina.

È un trauma andare a scuola così presto. Non ho chiuso occhio in queste due notti.

Ho passato il weekend sul divano a guardare qualche serie tv scadente e a studiare.

Sapevo che mi mancava qualcosa, ma mi convincevo che non fosse Jacopo. Ho ancora in mente la voce di quella ragazza che ha risposto al suo telefono.

Scaccio quel pensiero dalla mia testa ed esco di casa con lo zaino in spalle. Mi tocca andare a piedi, non avendo un mezzo mio.

Cammino velocemente verso la scuola con le cuffie nelle orecchie, poi le tolgo quando arrivo nei presi dell'ingresso e le metto nella tasca del giubbotto.

Vedo Chiara che si sta sbracciando per farsi vedere da me e le vado incontro, ma quando oltrepasso il cancello, scorgo la figura possente di Jacopo, in tutta la sua bellezza.

Mi fermo, ma Chiara viene verso di me.

«Vuoi che ci spostiamo?», chiede con il fiatone.

Annuisco senza parlare, tenendo gli occhi fissi su Jacopo. Credo si sia accorto che lo sto guardando, e con un movimento rapido si gira nella mia direzione.

I suoi occhi nei miei.

La mia migliore amica mi tira la manica della giacca e mi riprendo. Distolgo lo sguardo e raggiungo Chiara davanti al portone della scuola, ma una mano afferra il mio zaino e mi tira.

«Ma che...?!».

«Dobbiamo parlare», dice Jacopo di colpo.

Indossa il suo giubbotto di pelle nero con dei jeans aderenti.

Distolgo lo sguardo dal suo bellissimo outfit e lo guardo negli occhi.

«Non possiamo continuare così, Jacopo. Tu che combini una delle tue cazzate, io che ne risento, noi che litighiamo, io che ti perdono. È diventata una routine e io mi sono stancata. Ne ho parlato anche con Chiara e sono giunta a una conclusione... Abbiamo fatto tutto troppo in fretta. Non voglio essere coinvolta nel tuo passato e nei problemi che ti porti dietro, potrebbe essere egoista da parte mia, ma anche io ho dei problemi e non pochi! Detto questo, credo che potremmo provare a rimanere solo amici. Sempre se per te vada bene...». Parlo lentamente, scandendo ogni singola parola.

Eppure sembra che il mio discorso non lo abbia scosso minimamente.

«In realtà volevo dirti la stessa cosa. Non così, ma in modo simile», dice grattandosi la testa.

Emetto un sospiro di sollievo. Non tanto perché voleva dirmi la stessa cosa, ma perché ha accettato la mia proposta di rimanere amici. Non sopporto e non sopporterò mai l'idea di averlo lontano da me.

«Riguardo a ieri, la ragazza che...». Ma lo interrompo subito.

«Non mi interessa. Ora siamo solo amici». Mando giù il boccone amaro e mi giro per entrare a scuola.

Salgo gli enormi scalini, maledicendo Chiara che non mi ha aspettata.

«Rebecca!», urla Jacopo alle mie spalle. Mi giro verso di lui con aria interrogativa. «Stai bene vestita così». Sorride.

Anche se siamo lontani, posso vedere i suoi occhi color ghiaccio brillare.

Non è stata una cattiva idea aver indossato una gonna a vita alta nera e una camicia bianca!

«Grazie!», rispondo. Poi mi giro ed entro in classe.

Raggiungo Chiara, è in un angolo e sta parlando con una ragazza che non conosco, ma ha un aspetto inquietante.

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