«Ragazzina, svegliati», mi urla Jacopo nell'orecchio.
«Ma perché devi urlare di prima mattina?», rispondo con la voce ancora impastata dal sonno.
«Così ti svegli meglio».
«Simpatia portami via».
«Lo so che sono simpatico», dice pochi istanti prima di versarmi addosso un bicchiere d'acqua.
«Come ci si sente, ragazzina?», continua ridendo.
«Ma che ti prende?!», urlo.
«Te l'ho detto che me la pagavi».
«Esci subito da questa stanza!».
«Ti aspetto in cucina». Esce e sbatte la porta.
«Faccio la doccia in fretta, mi cambio e sono pronta», replico io.
«Sì, sì, va bene», risponde lui indifferente.
Quanto lo odio! È lunatico. Fin troppo lunatico
Oggi fa freddo, quindi mi vestirò con un maglione granata, dei jeans neri e le Vans, anche queste rosso granata.
«Scusa Jacopo, ma dov'è Vittorio?», domando entrando in cucina.
«Oggi aveva un corso per la scuola, credo», ribatte guardandomi.
«Mhm... va bene. Ora vado a fare la doccia».
«Prima mangia qualcosa».
«Okay».
Jacopo mi passa un cornetto alla Nutella e io me lo mangio con gusto.
Continua a fissarmi, non distoglie lo sguardo da me neanche per un secondo.
«Perché mi guardi?», gli domando.
«Sei sporca di Nutella vicino alle labbra».
«E cosa aspettavi a dirmelo?! Che figuraccia».
«Aspetta che ti aiuto».
Si avvicina a me e con un dito mi toglie la Nutella dalla faccia.
Sono molto più bassa di lui, troppo bassa. Mi sento piccola.
«Sei bassa Rebecca», mi dice ancora con la mano sopra il mio viso.
«Sei tu che sei troppo alto, Jacopo», replico guardando quegli occhi azzurri.
Dio quanto sono belli.
«A me piacciono le ragazze basse», continua con voce roca. Poi mettere l'altra mano sul mio viso. Un brivido mi percorre tutto il corpo.
«Perché dici ques...». Non finisco la frase che le sue labbra sono sulle mie.
Ora cosa devo fare? Ricambio il bacio?
Smetto di pensare, lascio cadere il cornetto per terra e cingo il suo collo con le mie braccia.
Lui picchietta con la lingua sul mio labbro inferiore per chiedere accesso alla mia bocca, ma mi stacco da lui.
«È meglio che vada a fare la doccia», dico sottovoce.
«Sì, forse è meglio che vai», mi risponde con la sua voce roca, che mi procura altri brividi.
Mi chiudo in bagno ed entro nella doccia.
Cosa è stato quel bacio?
Perché a ogni suo tocco dei sussulti mi percorrono tutto il corpo?
Perché mi perdo in quegli occhi azzurri?
Perché lo odio ma provo tutte queste cose?
I miei pensieri scivolano insieme all'acqua calda che scorre sul mio corpo.
«Rebecca, è da mezz'ora che sei sotto la doccia! Sbrigati!», urla Jacopo da dietro la porta.
«Sì ora esco, ma calmati», rispondo.
Sento i suoi passi che si allontanano.
Esco dalla doccia e mi vesto. Decido di lasciarmi i capelli sciolti e di non truccarmi.
Appena esco dal bagno vedo Jacopo, già pronto.
«Ce l'hai fatta finalmente».
«Scusami, ma stavo pensando e non mi sono accorta che ero sotto la doccia da troppo tempo», rispondo imbarazzata.
«Bene. La prossima volta fai più in fretta, ragazzina».
«Ragazzina?! Prima mi baci e poi mi tratti di merda?! Deciditi, perché inizio a essere stanca di questi sbalzi d'umore». Parlo in fretta, sono arrabbiata.
«Chiariamo una cosa: Il bacio di prima non ha significato nulla. E vedi di abituarti a questi sbalzi d'umore», dice con fare indifferente.
A quelle parole il mio cuore si ferma.
Lo odio con tutta me stessa.
«Bene! Allora sarà meglio che vada da sola!», urlo uscendo e sbattendo la porta.
Come si permette di trattarmi così?!
Che ragazzo lunatico!
Persa nei miei pensieri, mi accorgo che sto camminando senza una meta precisa.
Io non ho una meta.
Io non conosco nulla di questa città.
Dove sono?
Dove vado?
Prendo il cellulare in mano e cerco il contatto di Vittorio e decido di chiamarlo.
Uno squillo, due squilli, tre squilli e riattacco.
Provo a chiamare mia madre, ma neanche lei non mi risponde.
Decido di sedermi su una panchina. È tutta colpa di Jacopo... Se non si fosse comportato in quel modo, adesso staremmo passeggiando insieme. Un suono interrompe i miei pensieri: è la suoneria del mio cellulare.
«Pronto?».
«Rebecca, dove sei?!».
«Non lo so, Jacopo!».
«Descrivimi il luogo in cui ti trovi».
Faccio come mi dice, riattacco e rimango lì ad aspettarlo. Dopo venti minuti lo scendere dalla sua macchina.
«Mi stavo preoccupando», dice guardandomi negli occhi.
«Non dire cazzate, Jacopo, e riportami a casa», gli rispondo scocciata.
«Va bene».
Saliamo in macchina, nessuno dei due osa parlare, finché ci fermiamo a un semaforo rosso e una suoneria rompe il silenzio che si è creato tra noi due; è il telefono di Jacopo.
Apre il messaggio e lo legge.
«Che fai? È scattato il verde», gli dico.
Lui riparte, ma dopo neanche dieci minuti accosta e mi ordina: «Scendi».
«Come scusa?».
«Scendi, cammini fino a quel negozio, giri l'angolo e vai sempre dritta», mi risponde senza guardarmi.
«Vaffanculo», urlo uscendo dalla macchina. Cominciando a correre.
Sento il rumore della macchina allontanarsi e rallento il passo.
Decido di fermarmi in una tavola calda per mangiare qualcosa, dato che ormai è ora di pranzo.
Pago, esco dal locale e m'incammino verso casa.
Appena entro butto le chiavi sul tavolo della cucina insieme al telefono. Sento dei rumori provenire dalla mia camera.
«Vittorio?! Jacopo?!», urlo, ma nessuno mi risponde.
Entro nella stanza e ciò che vedo è l'ultima cosa che vorrei vedere.
Jacopo sopra a una ragazza. Entrambi nudi, entrambi che mi guardano.
«Rebecca?! Cosa ci fai qui?!», mi chiede lui sorpreso.
«Ci vivo!», rispondo scocciata.
Esco dalla camera e mi dirigo in balcone.
Mi ha lasciata in mezzo alla strada per venire a scoparsi quella!
Che rabbia.
Lo odio sempre di più.