Il Daub

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Taehyung camminava tra i corridoi ridendo; teneva le mani nelle tasche dei pantaloni, camminava a testa alta, con un passo lento più ondeggiante del solito, sebbene avesse sempre avuto una camminata particolare – i tabloid la chiamavano "molleggiante". Il ragazzo francese non era solito mostrare quell'enorme sorriso stampato in volto, lui sorrideva, sì, ma lo faceva sempre con classe, con una punta di malizia o in un accenno. Taehyung aveva sempre sorriso con gli occhi, più che con le labbra, ma quella volta la sua bocca era spalancata, i suoi occhi lucidi dalle lacrime, il corpo scosso dai sussulti del petto, come se non riuscisse a fermare la ridarella e, in effetti, era proprio così.

Quando arrivò alla porta di Jungkook non bussò neppure, appoggiò semplicemente la mano sulla maniglia e spinse la porta che, come era ovvio che fosse, trovò aperta. (Sarebbe sembrato sgarbato chiuderla durante il giorno, qualcuno avrebbe potuto pensare che uno di loro nascondesse dei segreti). «Sei pronto alla notizia più divertente di quest'anno?» chiese a gran voce, ancor prima di trovarlo nella stanza.

Jungkook era seduto su una poltroncina ad un angolo della sua camera, vicino alla porta del bagno e ad un mobiletto di legno basso, sul quale era appoggiata una bottiglia di qualcosa che sembrava liquore, ma che Taehyung non riconosceva – aveva una buona memoria e l'etichetta era pacchiana, con un marinaio su una barca disegnato sopra, se lo sarebbe ricordato. Il quasi-principe di Monte Carlo non sollevò gli occhi, rimase con lo sguardo sul bicchierino che teneva tra le dita per vari secondi, lo portò alle labbra e buttò il contenuto giù per la gola in un sol sorso, arricciando il naso subito dopo e facendo scoccare le labbra. Taehyung chiuse la porta dietro di lui, smise di ridere e guardò incuriosito l'altro ragazzo: «Che stai facendo? Vuoi arrivare ubriaco alla festa?»

Jungkook poggiò il bicchierino vuoto sul mobiletto al suo fianco e intonò una risatina appena accennata: «Mi sto solo facendo un paio di bicchieri prima di dover ingurgitare la merda che ci propineranno questi Americani.» proferì con una nota di disgusto. Ancora non portò il proprio sguardo al nemico di sempre, prese solo la bottiglia di liquore, si versò un altro mezzo bicchierino e la ripoggiò al suo posto.

«Sì, beh, sempre che ci sia una festa stasera».

Jungkook, che aveva appena poggiato le dita sul vetro del bicchiere, lasciò la sua voglia di bere e volse finalmente lo sguardo verso Taehyung: lo fissò in completo silenzio un paio di istanti, negli occhi, dall'altra parte della stanza, senza nessuna espressione. Taehyung si leccò le labbra a disagio, non riconoscendo quasi la persona che aveva davanti o, meglio, non avendolo mai visto in quel modo mentre parlava con lui. Jungkook sospirò appena e, finalmente, chiese: «Perché non dovrebbe?» con un tono talmente poco interessato che Taehyung si sentì quasi uno stupido ad essere andato da lui, sebbene sul suo volto continuasse a palesarsi un'espressione fiera e sfacciata.

Il francese si schiarì la voce con un colpo di tosse, ridacchiò, questa volta con il suo solito fare di classe, e mosse la mano in aria: «A quanto pare Seokjin è scomparso». Jungkook spostò lo sguardo da Taehyung solo per portarlo sul suo bicchierino e prenderlo, sollevandolo piano e portandolo alla bocca, quasi neppure stesse ascoltando l'altro. Taehyung serrò le mascelle e fece finta di non accorgersi di nulla, continuando a parlare, provando a catturare la sua attenzione: «Ed è scomparso anche Jimin, il che mi fa pensare che o quei due se la intendono e non ci siamo accorti di nulla o c'è qualcosa sotto». Jungkook sollevò il bicchiere, buttò giù il liquore e riappoggiò il bicchierino sul mobile. «Ma sinceramente sono stato attento, non mi sembra proprio che tra quei due ci fosse questa grande scintil-».

«Taehyung.» lo interruppe l'altro. L'influencer si zittì immediatamente, preso contropiede dalla voce secca e sicura che aveva usato: Jungkook sembrava arrabbiato, ma non infuriato come al solito, non con la voglia di prenderlo a parole – o con la voglia di baciarlo, e le due cose si avvicinavano molto –, lui sembrava colpito da una rabbia consapevole, o una qualche altre emozione che Taehyung non riusciva a comprendere. Non finché l'altro non parlò nuovamente: «Cosa devo fare per averti?»

Jungkook sollevò lo sguardo e trovò quello di Taehyung. Si osservarono intensamente, a vicenda, con espressioni fredde da giocatori di poker. Era una gran bella metafora, quella, per descrivere il loro rapporto: seduti allo stesso tavolo, con capacità simili, lo stesso obiettivo, partiti in modo equo, ma vicini alle ultime mani della partita, un all-in dietro l'altro, trattenendo il fiato.

Taehyung non riusciva a capire quella frase, ma capiva dal suo sguardo che non era il momento di giocare. Evitò battutine, evitò di girare intorno all'argomento e chiese: «Cosa intendi, Jeon?»

Jungkook fece un profondo respiro, per un istante l'altro intravide il panico nei suoi occhi, ma poi tornò impassibile e sicuro: «Lo sai cosa intendo.» tamburellò con le dita sul bracciolo della poltroncina «Io e te, insieme». Taehyung infilò le mani in tasca e strinse i pugni, nervoso da quella confessione a cuore aperto, ma non rispose, non disse nulla. Jungkook deglutì, poi continuò a parlare: «Mi ricordo di Parigi. Mi ricordo del capodanno».

Taehyung sospirò: «Ti sei ricordato».

«No, sbagli.» abbozzò un sorrisetto, il primo da quando l'altro entra entrato, poi staccò gli occhi dal suo nemico per prendere si nuovo la bottiglia «Non l'ho mai dimenticato, pensavo solo che la regola del gioco fosse non parlarne». Taehyung annuì, l'altro lo vide con la coda dell'occhio, impegnato a guardare il liquore colare denso dentro il bicchierino di vetro, questa volta riempito fino all'orlo. «Ma tu...» sollevò il bicchiere, lo portò alle labbra, lo bevve in un fiato, lo riappoggiò sul tavolino, tornò a fissare Taehyung assottigliando gli occhi «hai barato». Taehyung strinse più forte i pugni in tasca, distogliendo lo sguardo per la prima volta, senza riuscire a sostenere quello dell'altro, non quando sapeva che aveva ragione. Che l'altro ricordasse o no non era importante, quel tira e molla tra loro, tutta la tensione sessuale, tutti gli sguardi persi che di tanto in tanto l'altro lasciava scappare, erano tutte cose che avevano un limite, un limite che Taehyung da ormai da mesi continuava a oltrepassare per metterlo alle strette, soprattutto da quando erano arrivati negli States. «E se tu bari, beh, allora voglio barare anche io.» disse mostrando i denti superiori, aggressivo «Quindi, ora, io voglio sapere da te», deglutì, osservò Taehyung che fissava un punto della stanza fisso, senza ricambiare il suo sguardo, «cosa posso fare per far sì che tu mi voglia come ti voglio io».

Taehyung scosse il capo: «Jungkook, smettila».

Il principe di Monaco ridacchiò nervoso, si leccò l'angolo della bocca: «No, non la smetto.» rispose stringendo con entrambe le mani i braccioli «Ora tu mi dici sinceramente se c'è anche solo una minima possibilità che esista un noi».

Jungkook serrò i denti, sentendosi la mascella tremare, così come le mani, che affondava nella poltrona, così come il petto, per la quale non poteva far nulla. Taehyung si picchiettò l'interno della guancia con la lingua, abbassò il capo silenziosamente, fissò i propri piedi per un paio di secondi e, pieno di sensi di colpa, rispose: «No, non c'è».

Jungkook annuì piano, per niente stupito dalla sua risposta. «Bene, allora ti chiedo cortesemente, come persona che conosci da una vita intera, di smetterla di girarmi intorno e di giocare, dato che non sei capace di farlo senza barare».

Il ragazzo francese fece un profondo respiro, si bagnò le labbra e, finalmente, tornò con lo sguardo in quello di Jungkook: «Va bene». Nei loro occhi era tornato il freddo e gelido rapporto che avevano qualche anno prima, un rapporto di profondo senso di nulla, di assoluto menefreghismo, sebbene questa volta era mascherato. Erano due persone importanti, alla fine erano così bravi a fingere che, prima o poi, avrebbero finito per crederci loro stessi. «Ci vediamo alla festa».

Jungkook si sentì sprofondare nella poltrona, sentì la voglia di piangere disperatamente, di chiedergli di ripensarci, di far finta solo per un po', ma non fece altro che guardarlo girarsi e andare verso la porta. Quando la mano di Taehyung si sollevò per afferrare la maniglia, però, Jungkook non riuscì a frenarsi: «Aspetta!» esclamò con tono deciso, ma senza urlare. Taehyung bloccò la mano a mezz'aria, girò il volto verso l'altro, lo osservò chiedendogli con gli occhi di smetterla lì, non per il loro rapporto, ma per amor proprio. Jungkook trattenne i suoi sentimenti, quelli che aveva nascosto così in profondità che mai aveva capito quanto fossero forti, li ributtò più nel buio che poté, si caricò di puro odio, di puro disgusto verso il ragazzo che aveva rovinato un gioco che, forse, negli anni sarebbe potuto diventare qualcosa di vero. Jungkook si caricò di cattiveria e, quando sentì l'acido in bocca, chiese con espressione schifata: «Quanto costi?»

I tre Pretendenti - {Namjin}Where stories live. Discover now