Kuri Riri vs Peppermint

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La prima volta che Min Yoongi aveva visto le gocce di sangue e quelle di sudore unirsi ai suoi piedi aveva avuto paura. Lo ricordava come fosse successo da pochi giorni, invece erano passati anni. Non era stato il suo primo incontro, non era neanche stato il secondo o il terzo. Si era ritrovato dopo mesi di incontri ad un angolo, seduto, esausto, con la testa china e la fronte grondante di sudore, il naso appena rotto gocciolante, il sapore ferroso in bocca, che gli colava dalle labbra aperte mentre provava a prendere fiato. Ricordava la paura che aveva provato: non era paura di perdere, sapeva che quello sport era fatto di contini incontri persi e periodi di vittorie consecutive; Min Yoongi aveva avuto una folle e insensata paura della morte. Il vedere il proprio sangue a terra, il sentirsi storditi, il cuore battere a mille, il fiato corto, il senso di nausea, il senso di svenimento lo avevano sopraffatto, come se qualcuno gli avesse poggiato una coperta di ferro sulle spalle e non riuscisse più ad alzarsi da quella sedia all'angolo. Erano state le parole di Antonio a farlo riprendere, a farlo alzare in piedi, a trovare il coraggio di affrontare quel terrore di prendere un altro pugno e trovarsi a terra senza mai più riuscire ad alzarsi. Quell'incontro lo aveva perso, ma non aveva mai più avuto quella paura. La vista del proprio sangue a terra, del rivolo di saliva rosea che gocciolava pendente dalle labbra, del proprio sputo d'acqua ferrosa nel secchio che Namjoon gli teneva davanti alla bocca, non erano mai più stati terrificanti; si era sempre sentito a casa e sicuro. Lui era una macchina da combattimento e quelli erano le prove più visibili del suo io, del suo essere.

Ma quel giorno, all'angolo del ring, osservando il proprio sangue a terra, ebbe di nuovo paura, mentre la voce nelle casse copriva le urla degli spettatori che aspettavano un'altra ripresa.

«Questo potrebbe essere l'incontro più sofferto degli ultimi dieci anni, signori e signore. Kuri Riri e Peppermint per il titolo di campione nazionale. Due grandi sportivi che abbiamo visto crescere incontro dopo incontro e che abbiamo visto più volte combattere tra loro negli anni, ma mai – mai! – con tanti colpi di scena, con una tecnica così impeccabile, con una rabbia perfetta per un perfetto incontro per questo titolo. Per i nostri amici di Sport Cielo appena sintonizzati, facciamo un piccolo riepilogo di questo incontro. Peppermint comincia egregiamente, comandando le prime riprese e guadagnando punti come bollini al supermercato».

In quella palestra enorme, colpa di gente urlante, con telecamere piazzate ovunque e l'odore di battaglia nell'aria, tutti vedevano Peppermint; solo alcuni di loro ci vedevano Min Yoongi: Isy era una di quelle. Si era sbracciata tra la folla, aveva sceso le scale, aveva urlato di farla passare e aveva guardato Tony negli occhi con una intensità tale da fargli credere, solo per un attimo, che la ragazza fosse davvero una strega. Quando Namjoon e il padre le avevano permesso di avvicinarsi a Yoongi, lui, per un attimo, era sembrato riprendersi – più per il colpo di scena di trovarsi la sua faccia a pochi centimetri, sebbene i suoi occhi lucidi non riuscissero a metterla a fuoco bene come quando la mattina i raggi del sole le colpivano il viso. La sua voce acuta era arrivata alle sue orecchie chiara e limpida, coprendo le grida, la voce del telecronista, i rumori di fondo, il proprio respiro affannato e il fischio che sentiva dall'ultimo pugno. La sua voce che gli ricordava che era destinato a vincere, che le carte lo avevano detto ogni volta, che i segni erano tutti positivi e che l'universo lo stava chiamando alla battaglia ebbero un effetto su di lui che non si seppe mai spiegare: Min Yoongi cominciò a pensare al destino; pensò a se stesso qualche anno più grande, magari in un appartamento decente, a guardare qualche film d'amore che lo avrebbe fatto piangere a fianco ad Isy, mangiando una pizza di merda economica, addormentandosi sul divano sebbene i piani erano di scopare dopo il film. Pensò a sua cugina e ai suoi nipoti che venivano a trovarli ad una palestra importante, felici di vederlo allenare qualche altro ragazzo; magari i suoi nipoti avrebbero potuto portare i propri amici a vedere i suoi trofei ancora appesi al muro. Era quello il destino? O il destino era vincere? E se il destino era vincere, poi, era così sicuro che tutto si sarebbe risolto? Forse il destino era continuare a darsi obiettivi per colmare quel senso di vuoto, quell'incredibile rabbia che provava, quel bruciore allo stomaco di chi sapeva che sarebbe potuto vivere altrove, in qualche altro luogo in cui non avrebbe dovuto sputare sangue avendo paura di morire per riuscire a scappare da una vita di merda. Perché se il suo destino era vincere, perché non lo aveva mai fatto in tutta la sua vita?

I tre Pretendenti - {Namjin}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora