Il serpente

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Taehyung era seduto sul bordo del letto, con un'agenda aperta sul materasso, mentre prendeva appunti velocemente e rispondeva al suo agente: «Sì, lo so che dovevo partire domani, ti ho già detto che ho avuto un imprevisto». Il modello provava e riprovava a far incastrare i suoi appuntamenti in altri slot temporali, da giorni, ma ogni volta che il suo agente lo richiamava, sembrava sempre più difficile mantenere tutti gli ingaggi presi. «Hai già chiesto a quelli di Purple se possiamo fare di domenica?»

Qualcuno bussò alla porta.

«Ma non mi interessa se hanno già lo shooting con Baptiste, lo chiamo io quell'idiota, se solo-»

Qualcuno bussò nuovamente alla porta.

«E se invece ci dividessimo lo spazio?». Taehyung si sollevò dal materasso e camminò fino alla porta della sua camera, la aprì ancora concentrato alla conversazione, e nulla del suo volto crucciato cambiò quando si ritrovò Jungkook davanti. Il modello gli indicò gli auricolari alle orecchie e gli fece segno di entrare. «Va bene, lascia perdere Baptiste, lunedì sera?»

Jungkook chiuse la porta dietro di lui e si guardò intorno: la stanza era sottosopra, vi erano vestiti appoggiati qua e là, cartellette e raccoglitori impilati senza grazia sui tavoli. Il principe di Monaco arricciò il naso a quel caos, tornando con lo sguardo su Teahyung che, a differenza del resto, era impeccabile: capelli che gli cadevano dolcemente sul viso, la pelle del volto liscia e bianca, senza traccia di barba, non una piega sui suoi pantaloni, ai piedi un paio di stivaletti, come se anche solo l'idea di un Teahyung in classiche ciabatte da casa non dovesse esistere. L'unica pecca era l'increspatura sulla fronte che, quasi, sembrava una ruga.

«Va bene, dai, prova a chiedere se riescono lunedì, poi con Balenciaga ci pensiamo più tardi, ok?»

Attaccò il telefono; un sospiro profondo riecheggiò nella stanza, si prese qualche istante, poi si girò verso Jungkook, ancora in piedi all'ingresso, intendo a guardarlo: «Dimmi, che c'è?»

«Che succede?» chiese l'altro ignorando la sua domanda.

Taehyung scosse il capo: «Rimandare di due settimane la partenza scombussola i miei piani di lavoro». Jungkook tornò a guardarsi intorno, come se avesse ignorato la risposta. «Non che tu possa capire, non penso tu abbia mai lavorato, no?»

Jungkook riportò lo sguardo sul suo acerrimo nemico, lo schernì sorridente: «Preferisco essere ricco e basta». Taehyung sollevò gli occhi al cielo. «Hai finito? Ho bisogno che tu venga con me».

Taehyung si tolse finalmente gli auricolari, li appoggiò sul comodino e riprese l'agenda con fare indaffarato: «Venire dove?» chiese, con una nota di curiosità, ma ancora intendo a mettere a posto i documenti che aveva tirato fuori durante la lunga conversazione di lavoro.

«Ti spiego mentre andiamo».

Taehyung non rispose, sembrò quasi non sentirlo, ma la realtà era che appena gli diede le spalle, deglutì silenzioso e strinse le labbra tra loro in ansia. Il loro rapporto era cambiato nel corso delle ultime settimane e il ragazzo francese sentiva di aver perso le redini di quel gioco, ora in balia degli eventi come una pedina. Jungkook, che gli era sempre sembrato sotto il suo controllo, aveva scoperto le carte, mostrando di essere sempre stato al corrente di quel che stava succedendo, forse in parte, forse del tutto. Avrebbe dovuto chiuderla lì, avrebbe dovuto dirgli che la loro ultima chiacchierata, la sera della festa, doveva rimanere il loro ultimo giochetto, il loro ultimo momento; avrebbe dovuto dirgli di andarsene o di parlare chiaro e chiedergli cosa volesse. E, invece, rispose: «Va bene». Taehyung mise via l'ultimo raccoglitore rimasto sulla scrivania, lasciò i vestiti sparpagliati per la stanza e si girò verso Jungkook, facendogli un cenno verso la porta: «Fai strada».

I tre Pretendenti - {Namjin}Where stories live. Discover now