Peppermint

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Le voci intorno a Namjoon erano ovattate, la sua vista annebbiata, ogni cosa era confusa per via del capogiro; l'unica cosa che sentiva con tutto sé stesso era il dolore allo zigomo, bruciante, intenso, tanto forte e improvviso da fargli perdere qualsiasi altro senso se non quello del tatto. La seconda cosa che bruciò, appena il dolore scemò leggermente, fu il senso di sconfitta, ma evitò di farci caso come ogni volta.

«Foonie? Fuffo fene?». La voce di Yoongi fu la prima cosa che riuscì a sentire in modo normale – seguita dai pugni dati ai sacconi intorno a loro e dalla risata di Tony. Namjoon chiuse e aprì gli occhi velocemente, provando a mettere a fuoco la figura del suo migliore amico piegato sulle ginocchia, rendendosi conto solo in quel momento di essere seduto all'angolo del ring, con le braccia appese alle corde – non quella più bassa, ma la seconda – e le gambe distese e divaricate. Yoongi mosse la lingua sotto le labbra e un istante dopo sputò a terra un paradenti di silicone – e un bel po' di saliva annessa – per poter tornare a guardare l'amico e potergli ripetere in modo più chiaro: «Tutto bene?». Namjoon storse il naso, pensandoci su, poi annuì in modo lento, evitando di muovere la testa troppo velocemente. Tutta la sua premura sulla propria persona servì a poco, però, perché l'istante successivo Min Yoongi gli colpì la nuca con il guantone, lasciandogli un pugno neanche troppo leggero: «Dai, alzati».

Namjoon lanciò uno sguardo incattivito all'amico, ma questo si era già alzato, donandogli la vista delle sue spalle nude, cominciando a saltellare da un piede all'altro con indosso solo i pantaloncini aderenti, i guantoni e un paio di scarpe da ginnastica – tutto di colore nero ed oro –, lanciando pugni a vuoto accompagnati dallo sbuffo rumoroso che faceva ogni colpo, svuotando i polmoni. Se c'era una persona che era cambiata nel corso degli anni quella era sicuramente Min Yoongi: era il classico tipo che lo rincontravi per strada dieci anni dopo e neanche riconoscevi, che quando ti diceva "ehy, sono io, ti ricordi di me?" facevi stento a crederci e che più ti raccontava di cosa faceva nella vita e più l'unica cosa alla quale pensavi è di doverlo dire a qualcun altro che lo conosceva. Ecco, quello era sicuramente Min Yoongi. Il piccolo, grassottello e piagnucolone ragazzetto si era trasformato in uno dei pugili più pericolosi del quartiere, della città e – forse – anche dello stato. Pericoloso, poi, era effettivamente il termine corretto, dato che il suo temperamento non era dei più calmi e sportivi. Tony – il suo allenatore da quando Namjoon lo portò alla palestra sei anni prima – diceva sempre che era il suo più grande pregio e che non esisteva pugile – o lottatore in generale – capace di fare carriera senza una buona dose di pazzia. Min Yoongi all'età di undici anni non era una persona rabbiosa, non faceva cattivo muso ai propri bulli e non aveva granché autostima, ma Min Yoongi all'età di venti, invece, era un fascio di muscoli pronti a scattare, costantemente pronto a sbraitare in faccia a chiunque sembrasse avercela con lui. Namjoon, d'altro canto, aveva fatto l'esatto opposto del suo migliore amico: il giovane ragazzino che aveva sfregiato in volto uno dei suoi nemici personali era diventato sempre più calmo; era proprio per quello che - a detta di suo padre – non sarebbe mai diventato un pugile professionista.

«Joonie, cazzo!» la voce di suo padre dietro di lui risuonò come una sveglia «Non era neanche così forte».

«Tuo figlio è caduto come un sacco di patate.» lo prese in giro El Ciego, quello che un tempo era stato un collaboratore della palestra Vitali – che poi era il cognome di Tony e, per tradizione, anche del figlio -, ma che con l'avanzare dell'età aveva preferito andare in pensione, rimanendo comunque una costante in quel luogo, più come mascotte che come allenatore. Il fatto che si chiamasse El Ciego – il cieco, nella sua lingua madre – era dato da un episodio della sua giovinezza, quando lui stesso combatteva nei bassifondi di Città del Messico e, dopo un incontro in cui le aveva prese alla grande, la sua faccia si era gonfiata così tanto da renderlo cieco per una settimana. Si portava dietro ancora quel soprannome; era dura liberarsi dei soprannomi in quella città. «Ciccio-Min lo ha buttato giù con uno schiaffetto».

I tre Pretendenti - {Namjin}Where stories live. Discover now