Pausa erba

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«Rendiamoci conto», esclamò Maverick immergendo per l'ennesima volta il rullo di spugna nella pittura, «che questi ci stanno facendo ridipingere i muri da bianco a...» fece una pausa ad effetto – mentre tutti gli altri rimasero a guardarlo con un sorrisetto stampato sul volto – poi sollevò il rullo, lo lasciò scolare giusto qualche istante e lo posò su una parte di calcestruzzo ancora non ridipinta, lasciando una nuova striscia di pittura fresca; la differenza tra il colore precedente e quello nuovo era quasi impercettibile. «...bianco.» concluse, rimmergendo il rullo e scuotendo la testa.

López si avvicinò a lui con aria seria e scosse il capo a sua volta, ma per un motivo diverso: «Quello è bianco, questo nuevo è bianco viejo.» gli fece notare, sebbene Maverick – che di spagnolo non sapeva mezza parola – dovette andare più ad intuizione che altro.

«Amico, puoi mai pagare della gente per cambiare tipo di bianco? Non se ne accorgerà nessuno a prescindere!» esclamò tornando ad indicare il muro metà bianco e metà bianco antico.

López avrebbe pure voluto ribattere – o forse voleva solo dargli ragione e finirla lì – ma la voce di Karter – il caposquadra – interruppe la discussione: «L'importante è che ci paghino.» decretò con fare serio e sicuro, abbassando il proprio rullo per posarlo su un pezzo di plastica a scolare «E mi sembra che ci paghino anche abbastanza bene, o sbaglio?». Maverick sollevò le braccia mostrando i palmi, zittendosi alle sue parole. A nessuno dei ragazzi presenti importava nulla, effettivamente, del compito che veniva chiesto loro di fare a casa Kim, l'importante era venir pagati il venerdì sera dalla signora. «Chi ha finito può fare una pausa,» aggiunse alla fine, sollevando le braccia e scrocchiandosi le spalle, «poi scendete giù al cancello che dobbiamo sistemare l'ingresso».

Alcuni dei ragazzi – tra i quali Maverick – sospirarono e tornarono al loro muro, ancora in via di risbiancamento, mentre altri – tra i quali Namjoon – sorrisero euforici e, come il caposquadra, appoggiarono i propri rulli in bilico sulle vaschette di plastica per farli asciugare – dato che avrebbero comunque dovuto dare una seconda passata qualche ora dopo.

«Ehy amico,» un ragazzo di circa ventitré – al più venticinque, almeno dall'aspetto – anni si avvicinò a Namjoon con un grosso sorriso stampato in faccia, il volto sporco di bianco e la fronte leggermente sudata, «fumi?» Namjoon estrasse dalla tasca posteriore dei jeans un pacchetto di sigarette morbido, schiacciato e rovinato in più punti. Il ragazzo gli fece cenno di seguirlo all'esterno e solo quando il sole colpì i loro volti e l'aria leggera cominciò ad asciugare il loro sudore tornò a parlare: «Non ci siamo presentati comunque.» allungò la mano verso il collega, «Io sono Jung Hoseok».

«Namjoon, Vitali». Si strinsero la mano e si sorrisero a vicenda.

«Quanti anni hai, Namjoon?»

«Venti, ventuno ad autunno». Si portò il dorso della mano all'attaccatura dei capelli e si asciugò una goccia di sudore. «E tu?»

«Ventisei.» rispose, cambiando subito argomento, «Sei nuovo». Namjoon annuì semplicemente, estrasse la sigaretta dal proprio pacchetto e portò il filtro alle labbra. «Come ti sei ritrovato sotto le grinfie di Karter?»

Karter, il caposquadra che aveva fatto zittire Maverick qualche minuto prima, era il classico cinquantenne padre di famiglia provenienti dal Ghetto: una famiglia numerosa da mantenere, un buon lavoratore, qualche segnalazione alla polizia da ragazzo, fumatore e gran bevitore di birra scadente. Aveva tirato a fine mese per anni facendo il tutto fare, facendosi pagare in nero e trovando nuovi clienti grazie al passa parola. Un giorno aveva deciso di tirar su una piccola impresa, aveva trovato tre giovani ragazzi che volevano imparare a lavorare, aveva messo un grosso cartellone all'incrocio delle scuole elementari e aveva continuato così a tirare a fine mese, ma pagando le tasse e mettendo via i soldi per pensione e assicurazione sanitaria. Karter non aveva un ufficio – legalmente sì, ma l'indirizzo era quello di casa propria – e non aveva nemmeno un garage per tenere l'unico furgone che possedeva, ma aveva sempre personale disponibile, era educato e finiva in tempo. La pubblicità sui cartelloni ebbe vita breve perché scoprì che anche sulle colline andava il passa parola. Meglio lavorava – e meglio lavoravano i suoi dipendenti – e più lavoro trovava. Alcuni dei ragazzi lavoravano per lui da una vita – come Maverick, che per quanto avesse la lingua lunga non prendeva un giorno di malattia da almeno tre anni ed era sempre pronto a fare straordinari – altri, invece, erano comparse saltuarie per lavori extra o per periodi in cui le richieste erano più del solito. Hoseok lavorava con Karter da un anno e mezzo, Namjoon da tre settimane.

I tre Pretendenti - {Namjin}Where stories live. Discover now