La collezione dei ricordi in fuga

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Aveva lasciato il motore acceso per qualche minuto, ma quando si era reso conto che forse avrebbe dovuto aspettare ancora l'aveva spento ed era sceso dal pick-up. Il ventenne se ne stava appoggiato alla portiera, fissava il cancello della residenza dei Kim, il sentiero in salita tra il bosco privato che sapeva bene portasse alla casa – che, invece, non si riusciva a scorgere dalla strada – e i suoi respiri si facevano via via più pesanti, più insicuri. Seokjin lo aveva chiamato proprio mentre era sotto la doccia e se fosse stata qualsiasi altra persona, a chiamarlo, avrebbe lasciato il cellulare squillare, soprattutto in un giorno così importante come quello, ma Namjoon aveva avuto la malsana idea di impostare una suoneria diversa per quel diciassettenne che lo aveva fatto sbarellare completamente – inutile prendersi in giro, era chiaro come il sole a tutti, loro due compresi – e si era ritrovato a chiudere l'acqua e a saltare fuori dal box in ceramica a muro per rispondere immediatamente. (Aveva quasi rischiato di scivolare a terra e spaccarsi l'osso del collo, ma era riuscito ad aggrapparsi al poggia-asciugamani, rimanendo in piedi). Aveva ancora le gambe insaponate quando si era poggiato il telefono all'orecchio fradicio, ma quando Seokjin gli aveva detto che sarebbe andato all'incontro di boxe insieme a lui – se fosse andato a prenderlo – gli aveva risposto che era pronto per salire in macchina e sarebbe letteralmente volato da lui. Namjoon non aveva mai finito una doccia così in fretta ma lì, davanti al cancello dei Kim ormai da venti minuti, si rese conto che, volendo, avrebbe anche potuto asciugarsi i capelli col phon, anziché guidare con la testa fuori dal finestrino. Stava quasi per tirar fuori il telefono per scrivergli – giusto per capire se avesse ancora intenzione di saltare la festa – quando in lontananza, in cima al sentiero dietro al cancello, apparve Kim Seokjin come non l'aveva mai visto: il diciassettenne, con addosso un abito grigio elegante con tanto di cravatta, correva giù per la discesa guardando i propri piedi per metà del tempo e dietro di sé per l'altra, come se avesse paura che qualcuno lo potesse raggiungere. (In realtà era esattamente quello il perché si guardasse alle spalle, ma nessuno lo stava inseguendo e, comunque, non era un prigioniero in fuga). Namjoon lo osservò a bocca aperta, serio, finché nel girarsi per l'ennesima volta a guardarsi indietro Seokjin mise male il piede e scivolò a terra colpendo il terriccio con il sedere, ritrovandosi seduto con le gambe distese. Il ventenne scoppiò a ridere così forte che la sua risata arrivò fino al diciassettenne, ancora a terra, così lontano che quasi non distinguevano le espressioni uno dell'altro. (Ma il terzo dito che gli fece il più piccolo Namjoon lo riuscì ad intuire benissimo dal braccio alzato). Seokjin si rimise in piedi immediatamente, ricominciò a scendere – senza correre questa volta, ma a passo svelto –verso il cancello e quando lo raggiunse, prima ancora di aprirlo, lanciò un'occhiataccia all'altro ragazzo: «Il fatto che tu rida ogni volta che mi faccio male dovrebbe farmi paura?»

Namjoon – che nel frattempo aveva smesso di ridere come un pazzo, ma che continuava a guardarlo con un sorriso euforico – si staccò dalla macchina e lo guardò aprire il cancello in modo agitato. Non rispose alla sua domanda, rimase semplicemente in silenzio, mentre l'altro attraversava la strada di corsa. Il ventenne si ritrovò ad aprire le braccia, intenzionato a ritrovarselo addosso, ma Seokjin non ci pensò neanche ad andare a salutarlo e girò intorno alla macchina, ritrovandosi alla portiera del passeggero.

«Ehi!» si lamentò il più grande.

Seokjin batté la mano sul tettuccio del pick-up e sgranò gli occhi: «Ora non c'è tempo per le smancerie! Dobbiamo filarcela, okay?». Il diciassettenne aprì la portiera ed entrò nel veicolo.

Namjoon, preso in contropiede, lo imitò sedendosi al posto di guida, si mise la cintura e accese il motore, osservando il sentiero che portava a casa sua, spaventato che qualcuno potesse raggiungerli: «Non è che mi arrestano per averti rapito o stronzate del genere, vero?»

Seokjin sbuffò una risata divertita: «No, ma se parti subito possiamo evitare il quarto grado su chi sei, cosa siamo e perché sto dando buca a più di cento persone invitate alla mia festa per venire con te in una palestra in cui si picchieranno tutta la sera».

I tre Pretendenti - {Namjin}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora