Erano meglio gli scacchi, forse

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Appena Seokjin mise piede nell'appartamento di Namjoon cominciò a sentire più caldo; non era mai stato un tipo che si lasciava prendere dall'ansia, anzi, l'aveva sempre gestita bene, ma lì, in quel corridoio stretto e pieno di scarpe da ginnastica buttate a terra alla rinfusa, mentre il ventenne chiudeva a chiave la porta dietro di loro, sentiva la temperatura alzarsi. Seokjin avrebbe potuto dire qualcosa di circostanza – carina, permesso, chiedere se dovesse togliersi le scarpe – ma non riuscì a proferire parola, portandosi solo l'indice al nodo della cravatta, allentandosela.

Namjoon, dal canto suo, forse era anche più agitato dell'altro a farlo entrare a casa sua. Non ci aveva pensato finché non avevano dovuto prendere le scale e aveva notato per la prima volta la grossa crepa sul muro che portava al suo piano, finché non aveva dovuto giocare con la chiave nella serratura per aprirla, come sempre, perché era rotta da secoli, ma nessuno l'aveva ancora aggiustata. Ora che stava chiudendo la porta, dando le spalle alla casa, si ritrovò a pensare all'ultima volta che l'avevano messa a posto, non ricordandosi se fosse stato quel weekend o quello precedente. «Okay, ci siamo.» disse appoggiando le chiavi nel cestino di vimini svuota-tasche poggiato al mobiletto all'ingresso. Namjoon gli fece segno verso la fine del corridoio: «La mia camera è di là».

Seokjin annuì, gli fece segno di passare avanti e si lasciò guidare, senza guardarsi poi troppo intorno, come se avesse paura di notare qualcosa che lo avrebbe sconvolto. (Non lo avrebbe sconvolto nulla, era solo un appartamento piccolo e vecchio, con qualche felpa di troppo poggiata qua e là, con ancora i cartoni della pizza della sera precedente sul tavolo della cucina e tante foto di famiglia e della palestra a tappezzare i muri). Namjoon raggiunse la porta della sua camera, la aprì, e sussurrò un debole: «Entra pure.» mentre il suo sguardo osservava ogni angolo sperando non fosse troppo in disordine. Seokjin osservò la sua camera con minuziosità, a differenza del resto della casa, sentendo lo stomaco stringersi e il cuore battere leggermente più veloce: si trovava nella stanza in cui dormiva, in cui forse era cresciuto – si appuntò mentalmente di chiederglielo in un secondo momento – in cui tornava la sera, quella stanza che probabilmente era "il suo posto"; gli sembrò, più di guardare la sua stanza, di rubare un'informazione personale, un'altra cosa che poteva essere loro. Si ritrovò a pensare a quanti ragazzi avesse portato, oltre a lui.

«È molto carina.» disse in un sorrisetto addolcito osservandola con attenzione.

Namjoon si frenò dal mettere a posto tutto ciò che si trovasse davanti. (Sarebbe stato imbarazzante ritrovarsi con jeans e calzini sporchi in una mano e piatti e bicchieri vuoti impilati nell'altra. Poi Seokjin li aveva visti, che senso aveva far finta di mettere a posto per rendere la camera presentabile). «Beh, qui c'è l'armadio, lì la mia scrivania,» cominciò ad elencare le prime cose che vedeva, indicando prima il mobilio sulla sinistra della parete, «e di qua invece sta il mio letto, e lì sta la barra per le trazioni.» indicando la parte a sinistra.

Seokjin osservò l'asta che fuoriusciva dal muro e che probabilmente Namjoon usava la mattina per allenarsi – pensò che doveva essere bello svegliarsi e poterlo trovare in mutande, grondante di sudore, intento a sollevarsi da terra – poi passò lo sguardo al letto ad una piazza e mezzo incassato all'angolo della camera, con un solo comodino a fianco al lato libero non attaccato al muro; il diciassettenne si incamminò verso il materasso, passando in mezzo alla stanza, e ci si sedette sopra: «Perché non lo metti rivolto con la testa al muro? Così ci metti i comodini a fianco come le persone normali».

«Non ci sarebbe più spazio in mezzo.» rispose Namjoon semplicemente, sollevando le spalle.

Seokjin osservò tutti i metri quadri liberi in mezzo alla stanza: «E che ci devi fare?»

«Mi alleno. Sai, no? Addominali, flessioni e quelle cose lì».

Seokjin aprì la bocca in un piccolo cerchio colpito per qualche istante: «Ah, giusto». Rimasero in silenzio, un silenzio leggermente imbarazzante e colmo di aspettative – su cosa, non lo sapevano neppure loro -  poi il più giovane si schiarì la voce e disse: «Non dovevi darmi dei vestiti per cambiarmi?»

I tre Pretendenti - {Namjin}Where stories live. Discover now