Quei tipi di baci carini

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Seokjin fissava lo schermo del telefono con gli occhi sgranati: «Ci terrei tanto?» rilesse a voce alta per l'ennesima volta, sorpreso da quel messaggio da parte di Namjoon. Il diciassettenne sbuffò a disagio, si rinfilò il telefono nella tasca dei pantaloni e tornò a guardarsi allo specchio: «Beh, me lo dice oggi.» fece scoccare la lingua al palato e si sistemò la giacca nera «Insomma, me lo vieni a dire il giorno della festa, pure dopo pranzo, che ci tieni». Fece un passo indietro, si girò leggermente per guardare come i vestiti gli cadessero addosso (perfettamente, come sempre.) e intonò una risatina: «Ha avuto un sacco di giorni, avrei potuto inventarmi qualcosa, se tanto ci teneva, ma oggi.» si morse il labbro inferiore, incredibilmente a disagio «Che poi no, non avrei fatto niente comunque, insomma sarà una festa stupenda, perché dovrei farla saltare solo per un-» estrasse di nuovo il telefono, aprì l'allegato che gli aveva mandato «Nazionale di pugilato.» rilesse. Seokjin rimase a fissare la locandina, camminò all'indietro fino ad arrivare al letto, ci si sedette sopra, piegandosi in avanti pensieroso: «Sembra una cosa seria.» commentò tra sé e sé.

Seokjin si lasciò andare all'indietro, chiudendo gli occhi, e appena colpì con la schiena il materasso morbido non riuscì a non far vagare la mente al loro primo – e unico – appuntamento, sdraiati sul suo pick-up. I giorni successivi erano stati tanto occupati da non riuscire a ritagliarsi neanche qualche ora per stare insieme, da soli: Namjoon aveva tanto lavoro da fare, era quasi sempre insieme ad altre persone e, appena finiva i turni doppi, doveva scappare ad aiutare il padre in palestra; Seokjin era stato braccato dalla madre per fargli organizzare la festa, per aiutarla a decidere chi invitare e chi no e una lista infinita di cose inutili del quale non avrebbe voluto occuparsi, ma che sembravano dover toccare a lui per forza di cose. (Non che non fosse semplice farle, per lui, ma c'era sempre qualcuno che bussava alla sua porta per chiedergli qualcosa, senza lasciarlo solo per un istante). Ma, sebbene entrambi furono tanto occupati da dimenticarsi quasi di mangiare, sembravano non dimenticarsi mai di quanto avessero bisogno di parlarsi, di guardarsi, di toccarsi – in un modo o nell'altro. Se riuscivano ad incrociarsi da soli in un corridoio si infilavano nella prima stanza vuota disponibile per salutarsi come si deve: bocca su bocca, stringendosi tanto forte da non respirare, ridendosi addosso, sussurrandosi che si mancavano oltre ogni modo. (Non che si trovassero per caso in corridoi vuoti, comunque; provavano costantemente a far sì di incrociarsi, tenendosi aggiornati via messaggio quando uno dei due si liberava). Erano andati avanti così, nei giorni precedenti, ma Namjoon aveva aspettato venerdì pomeriggio per mandargli la locandina dell'incontro, dicendogli che il suo invito era ancora valido e che ci tenesse tanto. Seokjin si girò su un fianco, estrasse di nuovo il telefono e rilesse il messaggio, ancora: «Ci terrei tanto». Guardò quelle tre parole senza nessuna espressione, con lo stomaco che sembrava attorcigliarsi più le osservava, più si immaginava di sentirglielo dire. Serrò le labbra tra di loro, deciso a non voler sorridere, e si rimise seduto: «Non ci devo pensare».

Una cosa che Seokjin non era bravo a fare era non pensare, ma con Namjoon non poteva fare altrimenti: più pensava a lui – e a loro due assieme – e più sembrava diventare tutto difficile. Riflettere su ciò che provasse nei suoi confronti, quanti brividi sentisse sulla sua pelle quando gli sussurrava all'orecchio e la voglia che aveva di baciarlo in continuazione (e non di baciarlo in modo erotico, ma di baciarlo e basta, il che complicava davvero le cose!) non portava mai a nulla di buono, ma solo a più domande, più dubbi, più immagini nella sua mente alla quale non doveva aggrapparsi. Seokjin faceva ciò che gli andava con Namjoon: lo baciava, lo cercava, gli sospirava addosso che aveva contato le ore dall'ultimo bacio, ma non pensava mai alle conseguenze. Chiedersi cosa provasse l'altro non era assolutamente contemplato. Namjoon, dal canto suo, non era più collaborativo, ma non perché non volesse cadere in un vortice di domande scomode – anche perché per lui non c'era nulla di scomodo –  ma perché aveva una paura matta di scoprirsi, di farlo scappare, di esagerare, di dire cose davvero imbarazzanti. (Decisamente peggiori e romantiche di quelle che diceva per prenderlo in giro o per sfizio personale). La mattina precedente, per esempio, Seokjin stava scendendo le scale per andare nel piano sotterraneo – nella cantina dei vini – mentre Namjoon le stava salendo, le scale, per tornare al piano terra dopo essersi cambiato la maglietta; si erano incrociati senza darsi appuntamento, da soli, si erano raggiunti a metà scala con un enorme sorriso e Seokjin aveva detto, semplicemente: «Che ci scriviamo a fare? Forse è destino incontrarci». Il diciassettenne ogni tanto se ne usciva con quelle frasi assurde dette in modo ironico, sbuffando aria dalle narici, senza sapere il potere che aveva sull'altro. Namjoon si era morso la lingua con forza, poi lo aveva preso per i fianchi e lo aveva baciato tanto veloce da spaventarlo. Seokjin aveva pensato semplicemente che avesse tanta voglia di lui da non riuscire ad aspettare (e la cosa non gli dispiaceva per niente), ma Namjoon lo aveva fatto perché altrimenti gli avrebbe detto in modo patetico che lo pensava spesso al fatto che fossero destinati, e che sotto sotto sé lo sentiva che lo avrebbe amato con tanta intensità da rimanere l'unico davvero importante in quella vita. Fortunatamente si era morso la lingua, altrimenti Seokjin se la sarebbe molto probabilmente data a gambe e Namjoon avrebbe pensato alla realtà delle sue parole. (Se rimangono in testa le parole non sono mai reali, è dirle ad alta voce e ascoltarle che le rende incredibilmente pesanti).

I tre Pretendenti - {Namjin}Where stories live. Discover now