Romeo e Giulietta

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Era sera, ormai tarda, ed Elizabeth stava leggendo un libro sull'amore per sé stessa e sull'amore tossico, mentre twittava che stava malissimo, ascoltava musica depressa e chattava con le proprie compagne di scuola su quanto era furiosa con Jimin – anche se non lo chiamava mai per nome, per nascondere la sua privacy – quando un areoplanino di carta entrò piroettando dalla finestra e planò gentilmente sul materasso del suo letto.

La giovane statunitense rimase immobile a fissarlo per qualche istante, tolse le cuffie – la voce di Harry Styles riempì la stanza gracchiante, perché teneva la musica sempre a volume massimo fino a rompere gli auricolari – poggiò il libro, il telefono e si inginocchiò con diffidenza: «Mmh». Che fosse stato Jimin, a lanciarglielo, non poteva essere certezza, ma era abbastanza probabile.

Con la consapevolezza che sarebbe potuta diventare molto triste o molto arrabbiata, Elizabeth prese lo stesso l'areoplanino tra le mani, lo aprì e scoprì che, come pensava, al suo interno vi era una scritta: Scusa. Vieni fuori?

Elizabeth sollevò un sopracciglio, prese un grosso respiro e scese dal letto, avvicinandosi alla finestra; uscì scalda dal balconcino, guardò al piano inferiore e trovò la figura di Jimin ad aspettarla, sotto le luci da esterno che lo illuminavano in parte, che la fissava con sguardo dispiaciuto.

«Scusa 'sto cazzo».

Jimin strizzò gli occhi come se lo avessero accoltellato, dolorante, poi abbozzò un sorriso: «Liz, mi fai spiegare?»

La giovane scosse il capo, rimanendo seria: «Potevi spiegarmi giorni fa, invece te ne sei solo andato senza dire una cazzo di parola». Jimin si passò una mano tra i capelli, Elizabeth si poggiò con le braccia alla ringhiera di ferro battuto. «Cos'è? Ti ci sono voluto giorni per trovare una scusa decente per farmi credere che tu non sia uno sporco traditore?»

Si sollevò il vento, il rumore delle fronde degli alberi che si accarezzavano tra loro riempirono l'aria dopo quella domanda. Jimin si massaggiò il collo a disagio, si guardò in torno, poi tornò a guardarla dal basso: «No, ma sono stanco di fare quello che è giusto per gli altri, voglio fare qualcosa per me questa volta». Elizabeth fece per controbattere, ma poi chiuse la bocca, perché non aveva capito cosa intendesse e sollevò il mento in un cenno, per farlo continuare a parlare. «Non ti ho mai tradita...»

Elizabeth sbuffò una risata triste, roteando gli occhi e incrociando le braccia al petto.

«Giuro! Te lo giuro Liz, non ti ho mai tradita!»

«Sei ridicolo» decretò, poi fece per rientrare in casa, stanca delle bugie.

«Sono foto finte!» urlò Jimin appena lei gli diede le spalle, «Le abbiamo fatte apposta! Per farvi credere che io e Namjoon avessimo una relazione segreta!»

Elizabeth si bloccò, poi tornò a guardarlo con un'espressione tanto confusa e schifata – insieme – che Jimin pensò che l'avesse appena persa per sempre. «Ma che cazzo dici? Ti rendi conto di che cosa da malati sia?»

Jimin si stropicciò il volto con le mani, si guardò intorno di nuovo, come spaventato che qualcuno potesse vederlo o sentirlo: «Fammi spiegare, lo so che ho fatto una porcata, ma non ti ho tradita», fece un profondo respiro. «Ti ricordi la sera che siamo tornati in macchina? Che ti ho accompagnato alla tua stanza?»

Elizabeth deglutì al ricordo, arrossì leggermente e annuì: «Mi avevi detto che ti piacevo».

Un sospiro dal petto di entrambi, dispiaciuti per la situazione e per aver rovinato – magari per sempre – qualcosa di bello che era nato tra di loro: «Ed è così, Liz, mi piaci». Ad Elizabeth venne da piangere, ma si strinse tra le braccia e ricacciò dentro le lacrime. «Ma quella sera ci hanno ripresi, ci hanno fatto un video, e poi mi hanno minacciato».

Elizabeth crucciò la fronte, confusa. «Minacciato?»

Il ragazzo annuì serio: «Hanno detto che se non avessi fatto quelle foto con Namjoon l'avrebbero reso pubblico, ovunque».

Rimasero in silenzio qualche istante, guardandosi ad un piano di distanza, poi Elizabeth scosse il capo: «Non ci casco, non ha nessun senso».

«Perché?» chiese Jimin, con il cuore che batteva a mille, impaurito dal non essere creduto. Non essere perdonato andava bene, ma non essere creduto era troppo.

«Perché Namjoon non aveva niente da guadagnarci!»

Jimin alzò le mani e annuì: «Hai ragione! Infatti, lui non ne sapeva niente, ma non ci stavamo baciando! Ho fatto finta di spaventarmi per un serpente e gli sono saltato addosso!»

Elizabeth arricciò il naso, gli venne da ridere: sembrava tutto molto ridicolo. «Ma se ci sono foto di voi che chiacchierate sotto i fiori...»

«Liz! Stavamo solo parlando! E stavamo parlando di Seokjin...» spiegò Jimin aprendo le braccia e facendole ricadere con stanchezza sui fianchi.

Sembrò sincero, almeno ad Elizabeth; sembrò così sincero che la ragazza al balcone la prese come verità assoluta e i suoi occhi si riempirono di lacrime. Jimin sorrise in un primo momento, pensando fossero lacrime di gioia, ma quando vide il suo volto intristirsi, spalancò la bocca preso contropiede.

«Quindi la paura che qualcuno potesse sapere che provavi qualcosa per me ti ha portato a tanto?» singhiozzò Elizabeth asciugandosi distrattamente una guancia.

«Cosa!?» esclamò l'altro, scuotendo subito il capo, «No! No, Liz! Che c'entri tu? Sono io il problema! Nessuno sa che mi piacciono anche le ragazze».

La giovane alzò gli occhi al cielo e scosse il capo: «Oh dai, come se cambiasse qualcosa».

Jimin strinse i pugni e il suo volto si fece serio: «Tu non puoi capire, va bene?». Elizabeth smise di piangere immediatamente, boccheggiando a vuoto alla sua reazione. «Mia madre mi ha sempre appoggiato con i ragazzi, perché andava di moda e perché odia le ragazze e ha paura che qualcuna potrebbe volermi per i miei soldi...»

«E invece un ragazzo no?»

Jimin sospirò: «Lo so, hai ragione, ma mia madre mi ha sempre detto che...» deglutì, abbassò lo sguardo, «Visto che potevo scegliere... Potevo tenerlo segreto. Che da omosessuale avrei attirato simpatia, sarei sembrato il bravo figlio simpatico in cerca di un fidanzato... Ma da bisessuale sarei sembrato un pervertito, o un traditore seriale... O uno che tiene il piede in più scarpe, insomma...»

Rimasero in silenzio, Jimin fissando l'erba sotto i suoi piedi, Elizabeth fissando lui e ripensando alla poesia che aveva letto, chiedendosi se l'avesse scritta per sé stesso: «Okay, ti credo».

Jimin sollevò il capo, la guardò un istante, poi sorrise: «E mi perdoni?». Elizabeth si morse il labbro, poi annuì. «E posso rimandare il mio volo e rimanere?». Lei annuì di nuovo. «E posso tornare a parlarti?». Lei annuì ancora. «E possiamo tornare ad amarci?»

Elizabeth deglutì e sentì il cuore accelerare velocemente, abbassò lo sguardo un istante, trattenne un sorriso e fece per annuire.

Ma un urlo a poche stanze da loro interruppe il momento.

I tre Pretendenti - {Namjin}Where stories live. Discover now