Capitolo 33

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LA FOTO NON CENTRA UN CAZZO, MA DOVEVO METTERLA AHHAHHAHAHHAHAHAHAHA È IL TOP

Lily's pov

Seguono ore difficili.
La stanza torna a riempirsi di voci e visi poco familiari, e le mie mani stringono palmi forti e apparentemente amichevoli.
I miei occhi stanchi osservano il mondo che si estende fuori dal vetro della finestra: ammirano le luci artificiali dei lampioni, le persiane chiuse delle case, la pioggia che con violenza si abbatte a terra in forti cascate d'acqua.

Il tempo continua a scorrere nonostante sembri essersi fermato nell'istante in cui le mani di Harry si sono allontanate dalle mie.
Lo guardo parlare col resto dei ragazzi e cerco d'esser partecipativa, ascoltando i loro discorsi con interesse ma forte contrito. Si analizzano piani, ipotesi, luoghi, attimi di tempo e possibili casualità, poi l'avvilimento si avventa sul mio corpo e i miei occhi diventano stanchi minuto dopo minuto.

La superficie rovinata del tavolo viene ricoperta di fogli bianchi, mappe e mani tremanti per la rabbia e il desiderio di violenza. Harry si nasconde dietro una facciata e presta la sua totale attenzione all'analisi dei fatti, mentre io, che tento di seguirlo, rimugino sulle parole cariche di emozione che mi ha rivolto poco fa.

Mi abbandono al sonno dopo qualche minuto. Cullata dalle loro voci che, seppur agitate, mantengono un tono notevolmente basso, mi circondo le ginocchia con le braccia e affondo il viso nel cuscino, ignorando il bruciore crescente delle ferite fresche - dentro e fuori, si intende. La mancanza di qualcosa che non sono capace di identificare mi riempie gli occhi di lacrime che non vengono versate, perché mi addormento col rumore della pioggia a sovrastare quello dei miei respiri rotti.

Vengo risvegliata solo da una mano che mi sento scorrere addosso, una carezza leggera sullo zigomo ferito che mi porta a sussultare e spalancare gli occhi gonfi di colpo - ma è solo Harry che si sta sedendo al mio fianco, mentre gli altri ragazzi sgombrano la stanza per andarsene.

"Che ore sono?" Domando con voce impastata, socchiudendo gli occhi e posando la guancia sul suo palmo senza timore di venir respinta. Negli occhi di Harry alberga la stanchezza, e sotto i suoi meravigliosi smeraldi sono presenti due scure occhiaie.

"Tardi." Si limita a rispondermi, passandosi una mano tra i capelli per non farli ricadere sulla fronte come spesso accade. "Vieni." Mi incita poi. "Ti porto a casa."

La delusione e il panico mi costringono a tirarmi a sedere sulla superficie morbida del divano.
"A casa?"

Cerco i suoi occhi con urgenza, ma vi leggo solo confusione.
"Non...mia madre non c'è, non posso stare sola." Spiego, mostrandogli uno sguardo carico di silenziosa supplica. L'ansia che mi aveva abbandonata torna a fustigarmi al pensiero di dover trascorrere la notte da sola, nel mio letto, mentre fuori ruggisce la tempesta.

Harry, percependo il mio panico, mi mostra un sorriso. "Non correresti alcun pericolo, non è nelle loro intenzioni coinvolgere altre persone." Mi rassicura. "Ma non volevo portarti là, almeno per stanotte." E si alza, porgendomi una mano per aiutarmi ad alzarmi.

Ripongo fiducia nelle sue parole e intreccio le nostre dita, lasciandomi trascinare in piedi dalla forza delle sue braccia. "Riesci a posarla a terra?" Mi chiede Harry, accennando alla mia caviglia dolorante. "Sì." Rispondo in un sospiro, rivolgendogli un silenzioso ringraziamento.

Il suo sguardo rimane fisso nel mio per qualche secondo. Stranamente, nonostante tutto ciò che questa disastrosa giornata mi ha portato, il fatto di averlo accanto mi riempie di una certa vigorosità.

Seguo i suoi passi fuori dalla piccola stanza: di fronte a noi si staglia una sala più aperta, ora meno affollata rispetto ad ore addietro.
Silenziosamente raggiungo l'ingresso per afferrare il mio cappotto, sistemato ordinatamente sull'attaccapanni, ed infilarlo con un brivido ad attraversarmi la schiena.

Dangerous [hs]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora