Capitolo 2

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Lily's pov

Il mio zaino nero è caduto al mio fianco, sul marciapiede sporco, mentre io sono appoggiata al muro della casa popolare con la schiena. Seduta sul cemento col capo chino  osservo le mani che tengo in grembo, cercando di respirare in modo regolare per evitare un possibile attacco d'asma.

Ho gli occhi spalancati e vitrei e le mani che tremano come foglie sospinte dal vento, un forte bruciore al fianco e al ginocchio della gamba destra mi impedisce di pensare a qualcosa che non sia il panico che ancora mi scorre nelle vene.

Cosa diavolo è successo?

È accaduto tutto in un attimo, in uno schiocco di dita, e poi si è ritirato velocemente, diventando un pugno di aria.

Chi era quel ragazzo?
Perché era in quel vicolo?
Perché mi ha aggredita?

Perché, perché, perché...

Getto la testa indietro, posandola contro il muro, e strizzo gli occhi con forza digrignando i denti per la rabbia. Mi sento come un animale ferito dalla freccia di un cacciatore, arreso e sfinito.

Vaffanculo, Lily.
Se solo mi fossi fatta gli affari miei, se solo non avessi avuto il desiderio mostruoso di sapere, di scoprire, adesso non mi troverei in questa situazione: non sarei qui, ma nella mia modesta casetta, con mia madre che -se fossi stata fortunata- sarebbe arrivata lì prima di me.

Invece no.

La paura di pochi attimi prima è stata sostituita dallo shock, dalla rabbia e dal rimorso.
I suoi occhi verdi e tremendamente freddi sono ancora incisi nel mio cervello. Non si muovono di lì, mi consumano le pareti del cranio, quelle due pietre di smeraldo.

"Fanculo." Sussurro, tiro su col naso e rilascio un forte sospiro, rilassando i muscoli del ventre.
Mi sento a disagio, la sua presenza ha smosso qualcosa di viscerale in me, portando a galla emozioni nascoste e incomprensibili.

Mi asciugo gli zigomi in un gesto di stizza, poso le mani a terra e con esse mi aiuto ad alzarmi.

"Merda." Mugolo dal dolore quando sono di nuovo in piedi, una fitta mi fa tremare il fianco e la gamba.
Quando punto lo sguardo sui punti feriti, noto degli strappi sui pantaloni e delle chiazze di sangue che macchiano in tessuto.

Sento la superficie degli occhi tornare umida a quella scena, rilascio una risata nervosa e alzo il viso verso il cielo, lasciando che il vento mi accarezzi la pelle rabbrividita.

Con lo guardo a perdersi nell'azzurro, giungo alla conclusione che non riuscirò a scrollarmi più di dosso le sensazioni che questo incontro mi ha suscitato.

Rabbia, paura, ansia, rammarico e tanto altro, nascosto dentro di me e incapace di uscire.

"È ora di tornare a casa." Sussurro al vento, socchiudendo gli occhi ai raggi del sole.

"Cosa hai sentito?"

"Tu, mocciosa, non hai idea del guaio in cui ti sei cacciata."

Rabbrividisco, apro gli occhi e ingoio un grumo di saliva.

La mia mano ancora tremante afferra incerta lo zaino a terra, issandolo in spalla con un movimento poco fluido.
Mi lascio alle spalle quel luogo, ma mi porto dentro il ricordo del suo sguardo, che mi è rimasto inciso addosso e brucia come una ferita aperta.

Il giorno dopo, comunque, mi sento un po' meglio.
Una sana dormita mi ha aiutata a recuperare le energie e la voglia di alzarmi per iniziare una nuova giornata.
Stanotte mio padre non è tornato a casa, ma ciò non mi ha sorpresa più tanto. Anzi, la sua assenza mi ha permesso di riposare senza i sensi all'erta.
La gamba mi fa ancora male, ma riesco comunque a camminare senza problemi. Ho disinfettato con cura le sbucciature sulla pelle e gettato i jeans nella cesta dei panni sporchi- spero solo che non siano da buttare.
Oggi pomeriggio io e Sarah andremo al centro commerciale di Phoenix per comprare un vestito per la festa di stasera. Mia madre mi ha dato qualche banconota che si è guadagnata il mese scorso, ma ho deciso di non spenderle tutte e di ridarle indietro il resto.

Dangerous [hs]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora