"Cosa c'è? Adesso che mi hai portata da un medico ti senti meno colpevole di ciò che è successo? Vuoi ricominciare a trattarmi come se fossi inferiore?"
Il veleno che stilla dalla mia voce mi sorprende, ma ho bisogno di buttare fuori la rabbia che sento crescere: piangere ancora non è più nelle mie intenzioni.

Harry grugnisce, immettendosi di nuovo in strada senza rispondere.
L'ho infastidito, è facilmente comprensibile - eppure non mi basta.

Allora rido, o almeno, ciò che ne esce è uno sbuffo: butto fuori le uniche parole che, ne sono certa, riusciranno a smontare il suo autocontrollo.

"È stata colpa tua. È come se fossi stato tu a picchiarmi."

E Harry frena.
Frena di scatto, in mezzo alla strada, facendomi finire il cuore in gola mentre sento serrarsi lo stomaco.
Che poi si volta verso di me con una velocità tale da farmi pensare, per qualche secondo, che voglia spaccare in due la macchina.

"Io- io non ho alcuna colpa." Non riesce a parlare, da quanto è agitato.
È sporto verso di me, quasi come se volesse incidermi quelle parole nel cervello con la sola voce.
E i suoi occhi sono vitrei, sono risoluti e forti nei miei, acquosi e timidi.

"Ah no?" Lo derido, allontanandomi però da lui: ho la schiena premuta contro la portiera.

"No."

"Allora perché eri lì?"

Rimane fermo con gli occhi ad affogare nei miei, fissandomi con un'intensità tale da farmi tremare.

"Ti riporto a casa." Ripete, e sta volta lo dice lentamente, facendo scivolare con delicatezza la lingua tra i denti, come se stesse cercando di ipnotizzarmi con quel movimento bagnato.


E da quel momento sono passate due settimane, che però a me sono parse un'infinita successione di momenti totalmente vuoti o, al contrario, troppo intensi.

Il giorno stesso ho affrontato mia madre e, oh, le urla e i pianti.
Mai era arrivato a tanto, mio padre.
Mai.
Tendeva a colpirmi in punti non visibili, salvando quindi il viso dalle sue terrificanti attenzioni.
E mia madre provava a fermarlo ogni volta, prendendo botte in più solo per non farle ricevere a me - il suo cucciolo.
Va avanti da anni, questa storia: il principe azzurro che si trasforma nel mostro che ti sussurra nell'orecchio nei tuoi incubi peggiori. È stato l'alcool, dicevano. Ha perso la ragione. Una scusa, una spiegazione meno dolorosa al cambiamento dell'uomo che avrebbe dovuto proteggerci entrambe, e che invece si è rivelato essere il nostro peggiore nemico.

Eppure è successo qualcosa di strano in lei, nella mia mamma: che il sangue le è andato al cervello si è capito, ma che abbia avuto il coraggio di cacciarlo, beh, ve lo dico adesso.

Prima del confronto sono trascorsi due giorni, nei quali io, nel letto, venivo accudita dalla donna più forte del mondo che per starmi dietro aveva saltato giorni di lavoro - dei tre lavori che ha, si intende.

Successe tutto il tramonto del terzo giorno, quando il rumore della porta che si apriva fu seguito da quello di passi pesanti e scoordinati - i suoi.

Ed è bello, bellissimo vedere la forza di una donna soppressa, maltrattata, picchiata, umiliata, venire fuori come una cascata di rabbia che non si può fermare, che non si può combattere: tutto per proteggere il suo cucciolo. E ce n'è voluto del tempo, ma quest'ultimo le è solo servito per darle forza a sufficienza per tirare fuori la leonessa che è in lei: e che nemmeno il più spietato dei cacciatori è riuscito ad uccidere.

Dangerous [hs]Where stories live. Discover now