"È stato mio padre."

Mi rendo conto che la voce è la mia solo quando la sento farsi spazio all'interno dell'abitacolo.

Harry rimane fermo, in silenzio, ma so per certo che mi sta ascoltando. Che ho la sua completa attenzione.

"Da quanto va avanti?" Gracchia con voce calma - fintamente calma.
Quel suono pacato contrasta con forza i suoi movimenti agitati: torna seduto composto e si passa due dita lungo la mascella, stuzzicando la pelle abbronzata mentre mi guarda.

Possono due occhi spogliarti di tutte le difese?

"Da...uhm-" distolgo lo sguardo, "qualche anno."

Ho la voce carica di emozione: è la prima volta che mi capita di aprirmi in questo modo con una persona che conosco appena.
Il solito Harry è sparito, scomparso, polverizzato: emerge la parte più profonda di lui, quella che di solito è sovrastata dal sorriso malizioso o dall'espressione corrucciata - stiamo parlando del suo lato comprensivo, ammorbidito.

Me ne nutro, ne ho bisogno.
Necessito di essere capita e ascoltata.
E lui lo sta facendo. Sta mettendo da parte il suo bisogno di provocarmi solo per lasciarmi sfogare - ma perché?

"Non ne hai mai parlato con nessuno?"

"Solo con la mia migliore amica e mia madre, ovviamente. E adesso anche con te."

Abbasso lo sguardo sulle mie mani, che stanno tremando con forza.
E non so se per l'angoscia, per il dolore...o per lui.

Harry posa la testa contro il sedile.
"Come si chiama tuo padre, Lily?" Domanda.
La sua voce è strana, perché non mi sta chiedendo qualcosa che non sa:
mi sta pregando per una conferma.

"Alexander Johnson."
E no, non ho il suo cognome, ma porto orgogliosamente quello di mia madre, che, quando nacqui, si impose per darmi il proprio.
Perché è sempre stata una donna forte, lei: è mio padre che ha lentamente offuscato la sua luce.

Harry si passa le mani sul viso quasi con rabbia, stropicciandosi le palpebre chiuse con movimenti circolari delle dita.

È lì, che capisco.
Scatta qualcosa.
Ed è lento, molto lento, ma il pensiero -o meglio, il timore- germoglia nel mio stomaco quando i nostri occhi si incontrano di nuovo.

"Ieri...tu e i ragazzi..." sussurro.
"Non eri lì per me, vero? Non sapevi che fosse casa mia."

Ho la voce agitata, gli occhi che lentamente si aprono.
Harry non era lì per me.
E quella constatazione mi arriva con la stessa forza di uno schiaffo, facendomi formicolare la pelle.

Lui serra i denti e distoglie lo sguardo, accendendo nuovamente il motore della macchina.
"C'entra con la storia del vicolo?" Insisto, posando una mano sulla sua spalla.
Harry allora respira profondamente e mi guarda, intimandomi con lo sguardo di smetterla con le domande.

"Lil-"

"Ho bisogno che tu mi risponda." Uso le stesse parole che lui, prima, ha usato con me. Ma rimane fermo e rigido come pietra marmorea.

"Ti riporto a casa." E a quelle parole sento un'ondata di calore investirmi fino alla punta dei capelli, mentre il cuore prende a battere con maggiore intensità.

Dangerous [hs]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora