Capitolo 20

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"Sono a casa"

Jake entrò nell'appartamento tenendo una mano sul collo, mentre il borsone che pendeva dal suo braccio ballonzolava da una parte all'altra sbattendo sul fianco dolorante.

Ad ogni passo sentiva le gambe cedere sempre di più e desiderava soltanto che sua zia non fosse in vena di domande o chiacchiere anche quella mattina.

"Jake!" la voce della donna arrivò puntuale dalla cucina opposta all'ingresso; la luce era spenta e il corridoio sempre più vicino.

Le tende tirate lasciavano la sua figura in penombra, completamente oscurata dal buio di quell'antro che era l'androne di ingresso alla casa.

"Vado a farmi una doccia, parliamo dopo zia!" rispose sperando che la donna lo lasciasse stare.

Sentiva la testa bruciare e il respiro ancora irregolare.

Gli bruciava la gola e il calore sudicio di quelle mani rimaneva impresso sulla sua pelle, come un ricordo che non avrebbe facilmente rimosso dalla sua testa.

La donna apparve sulla soglia della cucina, un cucchiaio di legno in mano ed un sorriso raggiante che si spense nel vedere la condizione zoppicante e terribile del suo nipotino.

Se si accorse della sua esitazione non disse niente, negò l'evidenza appoggiandosi solo di più al muro, osservandolo attenta, ma senza accennare a quello che aveva davanti.

"Giuro che ti tirerò via solo qualche secondo, volevo dirti che ho parlato con il dottore oggi e sono arrivati i risultati dei miei esam-" e la sua voce si interruppe quando, accendendo la luce per vedere in faccia il ragazzo, si accorse del marchio scuro che la mano del giovane cercava vanamente di coprire.

Era un livido, grande quanto due dita che gli girava intorno al collo come un cappio, un collare.

"Jake che hai fatto al collo?" gli chiese con tangibile preoccupazione.

Era abituata a vederlo nelle condizioni più orribili e terrificanti che potesse anche solo immaginare, che fossero una camminata zoppicante, un livido sul viso o le labbra sfregiate;

lo aveva visto anche tornare a casa fradicio, completamente coperto di alcool e qualcosa di più che non aveva saputo identificare, però era la prima volta che lo vedeva così esile, fragile, tremante.

Sembrava avere un fantasma davanti a sé, qualcuno che aveva visto la morte e ne era sfuggito solo per grato e fortuito caso.

"Non è nulla, tranquilla, solo un brutto incidente a lavoro" aveva la voce ancora roca, come se in quello stringere qualcosa gli avesse graffiato le corde vocali, riducendole ad un sottile passaggio incapace di lasciar uscire al contempo voce ed aria.

Jake si fermò sorridendole lieve, un sorriso dolorante come era tutto il suo fragile corpo.

"Chi è stato Jake?" la donna aveva in volto un'espressione seria.

Si era rimessa in piedi, staccandosi dal margine della porta.
Lo guardava fisso, apprensione ed angoscia in ogni sua parola e mossa.

Era come vedere un'anima in pena che cercava invano una risposta alle sue domande.

Jake scosse la testa senza far crollare nemmeno un secondo quel tenue, fievole sorriso che portava.
Non voleva che si preoccupasse, nonostante la sua testa continuasse ad urlargli di fare il contrario.

"Zia, ti ho già detto che è stato un incide-" ma anche in questo l'anziana non gli diede retta, sbuffando sentendosi presa in giro.

Non era stupida, ingenua o ignorante, sapeva riconoscere un problema serio quando ne vedeva uno, la sua età le aveva dato non solo l'esperienza e la saggezza necessaria per comprendere, ma anche una profonda premura ed interesse.

Interlude - Before The Sunrise | JakehoonWhere stories live. Discover now