5. DOTTORE... EHM... CAPO

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'De Sica, che vuol dire che non è ancora uscita dalla struttura???' La voce di Valente tuonava potente dall'altro lato della porta. 'Voglio quella donna fuori di qui entro cinque minuti! Ha capito, De Sica???' E il rumore di un telefono riattaccato violentemente si sentì in tutto il corridoio del trentaduesimo piano. Oh oh, Chloe, sei nei guai! E ora che faccio? Oddio, se arriva la sicurezza e mi porta via come se fossi una criminale? Pensa, Chloe, pensa! Che farebbe la mamma in questo momento? Ah sì! Forza e coraggio!

Bussai alla porta con decisione. Se mi chiedete come avessi fatto, beh, pensai al carattere deciso di mia madre e a cosa avrebbe fatto lei al mio posto e voilà! Dritta verso il suicidio!

'De Sica, è lei?' Chiese Valente con tono arrabbiato, molto arrabbiato.

'Ehm... direi... di no, Dottore.' Risposi timidamente nascosta dietro la porta. Dove cavolo è finito il potere magico di mia madre???

In realtà ci fu di nuovo quel silenzio tombale. Nulla. Il tempo si era fermato di nuovo. Caro Dio, non è il momento di fare scherzi! È vero, stamattina mi hai aiutato fermando il tempo in modo da farmi arrivare in orario al colloquio, ma ora è il momento di velocizzarlo, non credi?

E poi dei passi. Dei passi lenti ma decisi. Dei passi che si avvicinavano piano alla porta ma con una precisione che avrebbe fatto invidia a un equilibrista. Dei passi che si arrestarono poco dietro la porta. Sentii la sua presenza a meno di un metro da me, separati solo da una porta di legno bianca. Che sorpresa. Ammetto che in quel momento me la stavo davvero facendo sotto dalla paura, ma cosa sarebbe potuto mai accadere? Una sgridata? Una minaccia? Non mi avrebbe mica rapito? Oppure avrebbe-

CLICK

Nulla di tutto ciò. Uno sguardo. Uno sguardo che raccontava più di mille parole. Uno sguardo che esprimeva odio, ripugnanza, decisione, freddezza. Ma in quello sguardo riuscii a leggere anche dell'altro. Sofferenza. Debolezza. Verità. E se gli occhi erano davvero lo specchio dell'anima, beh, i suoi riuscivano a trasmettermi chi era davvero. Soprattutto ti spingevano a fare e a dire cose che non avresti mai pensato di dire.

'Le chiedo scusa, Dottor Valente. Non era mia intenzione mancarle di rispetto. Spero accetti le mie scuse. Ero tornata per dirle questo. Con permesso.' E feci per andarmene e ripercorrere il corridoio che mi portava all'ascensore. Se vi chiedete dov'era finito il mio coraggio, la mia grinta e la mia voglia di insegnargliene quattro a dovere, beh, non potei più farlo. E perché? Perché lui era Marco Valente e perché nei suoi occhi avevo visto molto, forse anche troppo.

'Rossi?' Sentii alle mie spalle. Mi voltai piano.

'S-sì?'

'Dove sta andando?' Chiese con tono stranamente pacato.

'Via, Dottore.' Dissi abbassando gli occhi. Non riuscivo più a sopportare il suo sguardo su di me. Mi sentivo esposta, nuda, anche se non lo ero affatto nel mio monotono tailleur grigio con giacca e gonna.

'Ha avuto il mio diretto consenso di andar via?' Chiese ancora.

'No, Dottore, ma prima diceva a De Santis che-'

'De Santis?' Mi fissò sbigottito, come se non riconoscesse chi avevo appena nominato. Forse hai di nuovo sbagliato il suo nome! De Luca, si chiama sicuramente De Stefanis!

'De Sica intendeva dire?'

'Certo! Lui, proprio lui! Quel simpaticone di De Sa- Ste- Lu- ehm... Lui, insomma.' Gli accennai un finto sorriso. Figura da asina numero cento, Chloe!

'Capisco.' E si fermò nel bel mezzo del corridoio con le dita sotto al mento come per pensare. Cosa c'era da capire? 'Mi segua nell'ufficio, Rossi, e non resti lì impalata. Abbiamo delle cose da discutere.' E si diresse nel suo ufficio con non chalance. Ho sentito bene? Nel suo ufficio? Cosa vorrà ora da me?

My Boss - Il Mio Capo ✔ (IN REVISIONE)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora