44.

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Marissa mi indica una scorciatoia nella quale potremmo infilarci ma la fermo col fiatone.
Scuoto la testa e mi siedo su una delle sedie libere appoggiando la testa al muro.
Fatico a respirare e mi sembra di non avere energie.
«Stai bene?» chiede lei sedendosi accanto a me.
«Forse è meglio evitare il giro turistico per oggi..» mi porto una mano alla fronte stringendomi le tempie.
«Mi gira la testa» dico con un filo di voce.
«Vuoi tornare in camera?»
Scuoto la testa. Non voglio tornare là, ne restare qua.
Improvvisamente sento il bisogno di piangere, e strizzo gli occhi.
Non mi trattengo a lungo e in pochi secondi mi ritrovo immerso tra i singhiozzi.
Marissa sembra tentata di accarezzarmi i capelli ma si blocca.
«Ehi, che succede?»
«Non lo so più..» scuoto la testa e stringo i pantaloni della tuta tra le mani.
«Ethan?» una voce che non conosco mi chiama e io apro gli occhi di scatto tirando su col naso.
«Sei tu?» un uomo in camice mi si avvicina.
Annuisco, asciugandomi le guance.
«Dottor Parker. Piacere» mi porge la mano, ma io la rifiuto.
«Lei chi è? E come sa chi sono?»
«Non so se te l'hanno già detto, avevo chiesto di parlare con te. Sono uno psichiatra» si sistema il camice.
Lo fisso incredulo.
«Lo fate apposta allora!» sbotto alzandomi in piedi ed afferrando la flebo, diretto in camera.
Mi getto sul letto affondando la faccia nel cuscino.
Vaffanculo a tutti.

«Devo rinunciare all'impresa di farti alzare da lì e tapparti i condotti lacrimali?» domanda Marissa ironicamente, una volta entrata nella stanza.
Si dirige verso il suo letto e ci si siede sopra incrociando le gambe.
Volto il viso verso di lei, tenendone comunque buona parte premuta contro il cuscino.
«Dai, scherzavo..» si stende «Comunque mi dispiace, davvero. Però credo che parlare con qualcuno non ti farebbe male..»
«Ti ci metti anche tu?!» stavolta le do le spalle.
«Non prenderla male. Parker organizza una sorta di gruppo di sostegno tutti gli anni. Sembra una stupidata ma fidati che ne vale la pena, io l'ho fatto e devo ammettere che un po' mi ha aiutata»
«Un gruppo di sostegno? Davvero mi stai proponendo una di quelle cagate dove sei costretto ad umiliarti davanti a tutti?»
Lei sbuffa. «Non te lo consiglierei se non ne valesse la pena. Ma, se preferisci, fa di testa tua» si alza dal letto con un balzo, atterrando agilmente.
«Io intanto vado a farmi un giro al bar» si incammina ma la fermo appena mi supera.
«Aspetta! Resta qui.»
Si volta di scatto alzando un sopracciglio.
«Non mi va di stare solo..» abbasso la testa timidamente.
Lei si avvicina e si siede ai piedi del letto.
Mi lancia uno sguardo comprensivo, come se dicesse 'so cosa stai passando, io sono qui'.
Restiamo un bel po' di tempo così, in silenzio, insieme con i nostri pensieri.
Avere qualcuno a cui interessa sapere come sto, e che si accorga del mio dolore, comportandosi di conseguenza, mi tranquillizza molto.
Ormai credo siano passate ore e il respiro profondo di Marissa mi fa insospettire che si sia addormentata.
La chiamo sussurrando ma non ottengo nessun segno di vita; chiudo gli occhi anch'io, invidiando quel sonno tanto calmo e naturale, un sonno di cui non sono degno, tranne nel caso in cui si prolunghi per l'eternità..
Il tempo è inutile a farmi addormentare, nonostante la stanchezza dovuta alla notte insonne e ai farmaci.
Più tardi un infermiere mi comunica che qualcuno ha lasciato un pacco per me; sono un po' incredulo e fatico a immaginare da parte di chi sia.
Lo prendo tra le mani ed aspetto che il tramite sia uscito dalla stanza per leggere il biglietto attaccato alla scatolina.
"Sarebbe più cortese e chiaro un vero e proprio biglietto, ma questo regalo parla da solo.. con l'amore più sincero - Shane"
Alla vista di quel nome mi ribolle il sangue nelle vene.
Decido di non aprirlo neanche, e lo infilo nel cassetto del comodino.
«Vaffanculo! Tu e il tuo fottuto regalo!» sbraito sbattendo il cassetto.
Marissa si sveglia di colpo sussultando.
Cerco di rimediare sussurrando «Oh, scusami!»
«Non fa niente. Ma cos'è successo?» si mette seduta e si stropiccia gli occhi.
«Uh, no. Lascia perdere. Non era così importante..»
«Oh, certo. Anch'io urlo senza un valido motivo» mi scherna.
«Scusa, non mi va di parlarne ora» sospiro e mi stiracchio.
Ma il pensiero di Shane torna incombente nella mia testa, e il bisogno di averlo vicino inizia a farsi sentire.
«Che hai? Sei diventato strano in un colpo» domanda mettendosi nella sua solita posizione, con le gambe incrociate.
Gioco la carta più ovvia, sviando il vero problema che mi tormenta in questo momento.
«Non so se ricordi che ho provato ad uccidermi durante la notte. Non puoi pretendere che sia felice come una pasqua» rispondo freddo.
«Già..scusami..» stende le gambe e le fa dondolare verso il pavimento.
Non sa stare ferma un attimo?
Io vorrei solo affondare la faccia nel cuscino e sperare di soffocare.
«Tra poco è ora di cena. Ti consiglio il filetto di pollo, è l'unica cosa commestibile»
Dopo che sono stato così freddo e stronzo scherza ancora con me?
Non era mai successo prima.
O questa ragazza è un angelo o io sono morto e questa è un'allucinazione.
«Tanto non ho fame» ritento, curioso della sua reazione.
Potrebbe iniziare ad ignorarmi e pentirsi di aver iniziato una conversazione con me, invece sospira e mi sorride.
È come se sapesse per filo e per segno quello che ho passato e perché mi comporto così.
In questo senso è come Shane: mi ha capito al volo sin dall'inizio..

If They Knew The Pain  [#wattys 2018]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora