13.

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Giorno 8.

Mi sveglio bruscamente, scosso da una mano. Apro gli occhi a fatica e impiego qualche secondo a capire dove mi trovo. Devo essermi addormentato senza accorgermene. 

Lo guardo confuso per qualche secondo, prima di accorgermi che sia già mattina e scattare in piedi.

Ho passato la notte qui senza avvertire nessuno. Dovrei chiamare qualcuno. Saranno preoccupati.

Frugo nelle tasche alla ricerca del telefono. Quando lo trovo, però, mi accorgo che è scarico. Sbuffo.

"Hai il telefono?" domando.

Lui cerca trai suoi vestiti e scuote la testa. 

"Devo averlo perso ieri sera" dice "Ci conviene tornare."

"Aspetta...non ho voglia di tornare a scuola" dico, abbassando lo sguardo.

Non ho nemmeno il telefono per avvisare qualcuno.

Lui sospira.

"Nemmeno io."

Si gratta la fronte, pensieroso. 

"Facciamo così: torniamo giusto per farci vedere e poi bruciamo, andiamo da qualche altra parte, okay?" propone.

Annuisco e gli sorrido.

Scendo dal vagone con un salto.

Fortunatamente Shane ha la macchina, così riusciamo a raggiungere la città in poco tempo.

Ci fermiamo di fronte all'ingresso di casa mia.

"Torno subito" dico, prima guardandolo e poi scendendo dalla macchina.

Mi avvio a passo svelto lungo il vialetto, dopodiché mi accosto alla porta e suono il campanello.

Non risponde nessuno. Riprovo. Niente.

Sbuffo e torno verso la macchina parcheggiata.

Quando risalgo in macchina Shane mi guarda confuso.

"Andiamocene" dico freddo, senza degnarlo di uno sguardo.

Lui non fa domande. Esita solo un attimo, poi fa ripartire l'auto e si ferma sotto un'altra casa.

"Dai, scendi. Ti faccio salire da me" dice aprendo la portiera.

Resto confuso qualche secondo e poi lo seguo.

"Ma sei sicuro?" chiedo titubante, camminando dietro di lui.

"Sì, muoviti" ribatte avvicinandosi all'ingresso.

Apre la porta una donnina di piccola statura, con i capelli biondi e una camicetta chiara.

"Oh, Shane" esclama, gettandogli le braccia al collo. "Che fine avevi fatto?"

Ad un certo punto si accorge di me.

"Ciao! Tu devi essere Ethan!" dice. Ha le lacrime agli occhi, ma ora anche un sorriso spunta sul suo viso.

Accenno un sorriso anch'io.

Lei ci fa entrare e ci offre da bere un thè, che accettiamo volentieri visto il freddo che abbiamo preso.

Sembra una donna educata e comprensiva, forse un po' riservata.

Shane le ha raccontato quello che è successo ed è bastato dirle che avrebbe preferito stare a casa. Così hanno invitato anche a me a restare con loro. Io accetto, d'altronde non ho un altro posto dove andare.

La aiutiamo anche a preparare da mangiare e provo nostalgia nei confronti di questo clima familiare così sereno, che invece io non riesco più a godermi.

Dopo il pranzo Shane mi invita a salire nella sua stanza, in modo da lasciare sua madre da sola a riposare.

La camera è piuttosto grande e spaziosa. Al centro c'è un letto a due piazze, un armadio sulla parete di fronte, un' ampia finestra che si affaccia sulla strada e un'altra porta che suppongo porti ad un bagno.

Però è piuttosto spoglia, eccetto per qualche poster appeso al muro. Probabilmente perché si sono trasferiti da poco.

"Benvenuto nella mia tana!" esclama, gettandosi subito sul letto a pancia sù.

Io resto sull'uscio, incerto su come muovermi in quel posto nuovo. 

"Vuoi farti una doccia?" domanda lui, catturando la mia attenzione.

Io resto in silenzio qualche secondo, sorpreso da quella proposta.

"No. non preoccuparti" rispondo guardandomi intorno nervosamente.

"Dai, sei sudicio. Ti presto qualcosa io" ribatte alzandosi e dirigendosi verso l'armadio, per poi tirarne fuori un paio di pantaloni e una maglietta e lanciarmeli.

Io li afferro impacciato.

In effetti puzzo e avrei proprio bisogno di mettermi qualcosa di pulito addosso.

Sospiro e cammino verso il bagno, entro e chiudo la porta a chiave.

I vestiti di Shane mi stanno piuttosto larghi. Lui è molto più alto di me e sicuramente più muscoloso.

Quando mi vede, con le maniche della maglia che mi arrivano quasi sotto il gomito, scoppia a ridere.

"Sembri così piccolo!"

Io resto immobile, imbarazzato. Mi sento ridicolo. Perché mi importa così tanto di quello che pensa di me?

"Ehi, ti sei offeso?" chiede notando la mia espressione. 

Scuoto la testa, tenendo lo sguardo basso.

Lui mi passa accanto, sorridendo, e mi tira una pacca sulla spalla mentre entra in bagno.

Nel frattempo io mi stendo sul letto.

Quando esce dalla porta indossa solo le mutande.

Sembra che non abbia per nulla pudore, non si faccia scrupoli e che sia perfettamente a sua agio col suo corpo.

Io invece mi sento in imbarazzo.

Raggiunge l'armadio e fruga tra i cassetti, dandomi le spalle - Sì, è decisamente più muscoloso di me. Dopodiché, una volta vestito, si avvicina al letto e si stende accanto a me.

"Che giornata del cazzo ieri" afferma con una risatina.

Io mi sento ancora in tensione, ma cerco di accennare un sorriso e annuisco.

"Tutto okay?" domanda "Sembri strano"

"Sì..." sospiro "In realtà a casa mia non c'era nessuno..."

"Perché non metti in carica il telefono e vedi se ti hanno cercato?" propone.

Io faccio come mi ha consigliato, ma poi mi passa la voglia di sentire le loro voci. Torno sul letto accanto a lui. Voglio dimenticarmi di tutto e di tutti ancora per un po'.

Mi stendo e chiudo gli occhi.

Avrei voglia di un altro abbraccio...

Mi rilasso quasi al punto di addormentarmi ed incosciente mi rannicchio contro il suo corpo. 

Dopo poco avverto il suo braccio avvolgermi e stringermi.

Sono sorpreso. Il mio gesto non è stato intenzionale. Eppure non mi dispiace stare così. Mi sento tranquillo, come lo sono stato troppo poco ultimamente, e mi sento protetto, al sicuro.


If They Knew The Pain  [#wattys 2018]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora