6.

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Giorno 3.

Quando suona la sveglia mi affretto a spegnerla con un colpo secco. Oggi non ho proprio la forza né la voglia di alzarmi e tornare in quel buco schifoso.

Mi rigiro nel letto e chiudo nuovamente gli occhi cercando di rilassarmi e scordare tutto.

Dopo qualche minuto sento il cigolio della porta che si apre e la voce di mia madre che mi chiama.

"Ethan, sei sveglio?" 

Si avvicina per poggiarmi una mano sulla spalla e scuotermi, ma io le rispondo con un mugolio infastidito.

Oggi vorrei sparire.

"Tesoro, si sta facendo tardi" sussurra.

Sbuffo e mi giro dandole le spalle.

"Non mi sento bene. Voglio restare a casa."

Lei resta in silenzio per un po', poi si siede ai piedi del letto.

"Va tutto bene?" chiede poi.

Stavolta sono io a far piombare il silenzio nella stanza.

"Sì... Ho solo mal di testa"

Sospira. Mi accarezza una gamba. Poi si alza ed esce dalla porta, richiudendola alle sue spalle.

Io mi lascio sovrastare dal buio della stanza. Resto chiuso lì dentro per i seguenti tre giorni, dormendo, al buio, in silenzio. 

All'alba del quarto giorno la luce che penetra dalla finestra mi costringe ad aprire gli occhi.

Ai piedi del letto trovo Jess. Mi fissa, con le braccia incrociate e le sopracciglia aggrottate.

"Alzati" mi ordina.

Io sbuffo. 

"Forza!" mi incita, togliendomi le coperte di dosso. 

"Mh, Jess!" mi rigiro nel letto, coprendomi la faccia col cuscino.

"Ethan, non puoi andare avanti così e lo sai. Non ti fa bene."

"Secondo te lasciarmi picchiare in un cesso schifoso mi farebbe bene?" dico con la voce ancora roca e assonnata.

Lei si zittisce per qualche secondo.

"Cosa?" chiede poi "Ethan, cos'è successo?"

"Secondo te?" sospiro.

"Perché non mi hai detto nulla?" domanda sconvolta.

Non rispondo. Non ho voglia di parlare. Non ho voglia di fare niente.

Lei sbuffa, poi la sento avvicinarsi. Mi prende un polso e mi costringe ad alzarmi. Mi trascina fino al bagno e apre l'acqua della doccia.

"Muoviti che puzzi" dice avviandosi verso la porta "Ti aspetto fuori."


Il cortile è colmo di gente che non vorrei vedere.

Cammino lentamente accanto alla mia amica, trascinando i piedi contrariato.

Prima di entrare mi fermo. "Mi lasci un momento per fumare una sigaretta?" La guardo.

Lei sbuffa. "Ma è tardi" ribatte.

"Tu vai. Ti raggiungo" dico infilando la sigaretta tra le labbra.

Annuisce, ma nei suoi occhi noto una vena di preoccupazione. Non si merita tutto questo.

Estraggo l'accendino dalla tasca e lo avvicino alla bocca.

Mentre il cortile si svuota io resto a fissare il cielo che pian piano si schiarisce, ma poi noto un'altra persona dall'altro lato del cancello.

Il ragazzo nuovo se ne sta appoggiato alla ringhiera a fissare l'orizzonte, proprio come me.

Vorrei avvicinarmi ma dopo l'accaduto temo quale potrebbe essere la sua reazione.

Rimango a guardarlo per qualche secondo, cercando di capire quale sia il suo stato d'animo.

Non sembra più arrabbiato. Mi pare triste, pensieroso.

Dopo un po' anche lui si accorge di me.

Inizialmente aggrotta le sopracciglia e si volta dall'altra parte, evitandomi. Poi si alza e si avvicina con le mani in tasca. 

"Ne hai un'altra?" chiede indicando la sigaretta.

I suoi occhi sembrano ancora più intensi rispetto a questo cielo grigiastro.

"Le ho finite" dico, ancora terrorizzato dalla sua possibile reazione. "Se vuoi posso darti la mia..." propongo poi, porgendogliela.

Lui la guarda stupito, poi sposta lo sguardo su di me e la prende tra le dita.

Se la porta alla bocca con un gesto delicato, quasi incantevole. Mi soffermo a guardare la sigaretta che si allontana dalle sue labbra morbide e il fumo che si espande nell'aria.

Attendo che finisca. Nessuno dei due dice più un parola per qualche minuto.

Poi lui apre la bocca. "Mi dispiace per l'altro giorno..." dice lanciando la sigaretta in terra e schiacciandola col piede.

Io resto zitto ancora per un po'. Questa non era di certo la reazione che mi aspettavo.

"Ero arrabbiato. Non c'entravi niente tu" aggiunge. Il suo tono di voce è abbastanza basso, ma pulito e a suo modo armonico.

Io continuo a guardare dritto di fronte a me.

"Non fa niente" dico dopo un po'. "Credo di capirti" aggiungo.

Lui mi guarda di nuovo e credo abbia capito cosa intendo.

"I fantastici anni del liceo!" esclama ironicamente.

Mi lascio sfuggire un sorriso. 

"Mi conviene entrare adesso" dice poi. "Ci si becca!" aggiunge, dandomi una pacca sulla spalla ed incamminandosi verso l'ingresso.


If They Knew The Pain  [#wattys 2018]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora