Capitolo 67 - Il ballo in fa diesis minore della paura

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Chiara

Continuo a spostare la merce dal camion al magazzino, ma la mia testa è altrove, ancora fissa su quelle parole di troppo, ma ancora di più sul silenzio che ne è seguito. Non so che cosa io mi aspettassi realmente. Forse non il nulla. Forse qualsiasi cosa fosse successa, non avrebbe comunque cancellato il vuoto che sento nel petto.

Non ho mai preteso – non credo ne avessi alcun diritto – che Giulia avesse continuato ad amarmi come ho fatto io. Probabilmente non ho nemmeno creduto che potesse averlo fatto. Fui sempre incredula di come potesse provare dei sentimenti tanto teneri per me quando eravamo insieme giorno e notte ed io facevo del mio meglio per renderla felice. Di certo se avesse risposto a quella mia disperata richiesta ne sarei stata contenta, ma non avrebbe avuto alcun senso. Ha perso cinque mesi di vita per colpa mia, come si potrebbe mai anche solo non odiare qualcuno dopo un accadimento tanto terribile?

Non si può. Non sarebbe stato comunque possibile che tu mi amassi ancora. Nemmeno se io ci fossi stata, nemmeno se io avessi saputo che non eri morta. Tu sarai ancora viva, e questo mi reca una gioia immensa, ma il tuo cuore ha smesso di battere per me da quel giorno, come è giusto che sia. Non ti chiederò di ricambiarmi, Giulia, non potrei mai. Però spero che quando ti vedrò di nuovo sarai almeno disposta ad ascoltarmi.

La realtà diviene per me un concetto astratto. So, per un dato di fatto, che sto lavorando, che c'è un momento in cui smetto di farlo ed un altro ancora in cui mi sto vestendo dopo essermi tolta il sudore e la puzza di scatole impolverate di dosso.

Riprendo davvero conoscenza solo quando i miei piedi si trovano a pochi centimetri dall'ingresso di quella caffetteria. Non riesco a scorgere all'interno se Giulia sia presente o se io abbia fatto un buco nell'acqua. E se ci fosse Jane con lei? Non credo riuscirei a sopportarlo. Correrei di nuovo via, fuggendo a gambe levate dalla realtà, come quando ero ragazzina.

«Scusi, ha intenzione di entrare?»

La voce spazientita di uno sconosciuto mi lascia di stucco. Mi scuso, calmando subito le acque, e sorpasso la soglia del locale. Il caldo e l'odore di toast riscaldati mi investono come le nuvole catturano gli aerei. Mi sento a disagio. Una voce dentro di me continua a ripetere che non dovrei essere qui, che avrei dovuto lasciare le cose com'erano. Tuttavia, come potrei mai abbandonare Giulia fra le grinfie di un essere come Jane?

Noto i suoi occhi azzurri spostarsi fra i clienti al bancone. Non mi ha ancora notata, avrei ancora tempo per voltarmi e andarmene, risolvere le cose in modo diverso, magari tagliando fuori dalla scena Jane e lasciando che Giulia prosegua la sua vita senza il peso di me e del nostro passato sulle spalle. Se solo riuscissi a volerlo.

Mi avvicino piano alla teca delle brioches. Sono rimasti pochi pezzi, ma non è a quelle che sono realmente interessata. Un uomo biondo mi osserva intensamente dall'altra parte del bancone. So di averlo già incontrato, ma in un primo momento fatico a riconoscere Tommaso in quelle braccia lunghe e quei ricci voluminosi e chiari. Non ci salutiamo, ci fissiamo semplicemente. Il marrone dei suoi occhi nel nero dei miei. Quasi senza farsi notare, mi fa cenno di avvicinarmi e sedermi.

Cautamente e con passo incerto lo raggiungo. Scambiamo poche parole, fatico a prestargli molta attenzione.

«Non hai l'aria di aver parlato davvero con lei.»

Faccio segno di no con la testa. Il giovane sospira, il suo modo di farlo mi lascia intuire come anche lui percepisca la tensione e la pesantezza a cui tutto questo ha portato.

«Dimmi una cosa, Shark. Perché non ti sei fatta viva? Dico sul serio.»

Continua ad asciugare stoviglie; sospetto che sia solo un modo per non troncare la conversazione. Posso leggere sul suo volto come la domanda non implichi rabbia o risentimento, ma pura incomprensione. Lui, forse più di chiunque altro oltre Giulia, ha sempre saputo quanto io la amassi. Magari non ha sempre compreso o accettato alcuni aspetti di me, ma nemmeno ha mai osato mettere in discussione quello che provavo.

«Perché i suoi genitori mi hanno detto che non ce l'aveva fatta, Tom. Sono stata accanto al suo letto fino all'ultimo giorno, e poi alla sua lapide. Non ho mai smesso di farmi viva, nemmeno dopo che mi era stata comunicata la sua morte.»

Anche uno stolto saprebbe interpretare quell'espressione: è combattuto fra la serietà della mia voce e del mio volto e l'assurdità, almeno dal suo punto di vista, delle mie parole. D'altra parte, lui non era nemmeno in Italia quando tutto questo è avvenuto. Non ha mezzi per darmi davvero torto o ragione, né per sapere se consegnarmi la sua fiducia o tenerla per sé.

Prima che possa controbattere, Giulia si accorge della mia presenza. Lei ed il suo amico si rivolgono un cenno a vicenda, un'intesa veloce. Esco dal bar e pochi secondi dopo anche la castana si trova sul marciapiede accanto a me.

Ci scambiamo una breve occhiata.

«Vuoi mangiare qualcosa o...»

La triste verità è che non ho la minima idea di come approcciarmi a lei. Non ora. Non dopo tutto questo.

«Se potessimo andare da te sarebbe perfetto.»

Ti vergogni ad uscire con me? Forse temi il mio comportamento. Mi dispiace, averti costretta ad avere tanta paura di quello che potrei fare. Non posso chiederti fiducia, non ne meritavo allora, tanto meno ne merito oggi.

Involontariamente il mio sguardo si proietta sulle crepe del cemento ai miei piedi, tuttavia non protesto e mi incammino verso la moto. Con un gesto goffo, le offro quello che era il suo vecchio casco. Lo prende in mano con un'espressione indecifrabile, ma non lo indossa.

«Non ti faccio nulla» avviso, prima di sfilare l'oggetto dalla sua presa e posarlo sulla sua testa con la massima delicatezza possibile. «Ecco, così sei protetta. Non si sa mai.»

Ci metto qualche attimo a rendermi conto dell'assurdità della situazione, il che mi rende semplicemente molto più stupida ai miei occhi nel momento in cui lo faccio.

Seriamente?! L'ultima volta quasi la ammazzi e ora le offri di farsi un altro giretto con te? Notizia dell'ultima ora: esistono persone che effettivamente alla loro vita ci tengono. Ma sicuramente scommetto che Giulia non veda l'ora di perdere la propria partendo con te per un altro rodeo tra le strade della stessa città.

«Se... Voglio dire, solo se te la senti. Possiamo camminare, davvero, non ci ho pensato, sono un'idiota, mi dispiace, non-»

«Shh Chiara, calma. Va bene, davvero. Non mi è mai successo niente, non mi hai mai fatta cadere dalla moto, per fortuna.»

Abbozza un sorriso.

Già, per fortuna. Per fortuna che eravamo in macchina quando ti ho solo fatta spiaccicare contro un tir.

Chiudo gli occhi e scuoto appena la testa per cancellare le immagini dell'incidente, o almeno metterle da parte per il momento. Lascio che si sieda dietro di me in silenzio e avvolga le braccia attorno al mio torso. Sembra rilassata, ma non appena metto in moto una scossa la percorre e la sua stretta si fortifica quasi fino a soffocarmi.

La senti ora? Anche io. La provo anche io Giulia. Mi sta stritolando lo stomaco e non riesco a fermarla. Sempre lei, la stessa figura che per troppo tempo ha vegliato sui punti di incidenza delle nostre vite, regina e dominatrice insormontabile. La paura. Vorrei solo, lo avrei sempre voluto, che noi potessimo essere il suo ballo in fa diesis minore  (1).

(1) L'espressione "essere il suo ballo in fa diesis minore" fa qui riferimento alla canzone "Ballo in fa diesis minore" di Angelo Branduardi, nella quale viene descritto l'utilizzo di una danza - suonata in fa diesis minore appunto - cui la morte viene invitata affinché essa possa perdere la sua corona e smettere di essere padrona del tempo e, di conseguenza, dell'uomo. Contestualmente indica quindi il disperato desiderio di Chiara di poter essere, con Giulia, non solo immuni alla paura, ma anche la principale ragione per la quale questa possa smettere di esercitare il proprio sconfinato dominio sulle loro vite.

I Frutti dell'IgnotoWhere stories live. Discover now