Capitolo 64 - Cambiamento, il forse maggior controsenso umano

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Giulia

Circa dieci volte in una manciata di secondi, probabilmente non più di tre, considero l'opzione di andarmene via, lontano da qui. Mento a me stessa incolpando l'ascensore, tutt'oggi ancora non funzionante, e la mia pigrizia per scelta di restarmene in piedi in un modo fin troppo imbarazzato di fronte alla porta che ancora ricordo in ogni suo minimo dettaglio, usandole come scudo alla mia reale volontà di rimanere e vederla.

Passa quasi un intero minuto, forse il più lungo della mia vita, prima che il battente si spalanchi su quel salotto sempre un po' disordinato. Tutto mi sembra uguale ma anche totalmente diverso ora che lo rivedo dalla cornice scura dell'ingresso.

«Vi lascio» dice frettolosa una voce che ricordo alquanto bene, prima che la testa nera di Alissa mi sfrecci di fianco. La donna in abito bianco è svanita prima ancora che io possa focalizzare la mia attenzione sulla faccia frastornata e stupita di Chiara. Questa deglutisce rumorosamente prima che la sua mano di muova, quasi da sola, in un cenno goffo per invitarmi ad entrare.

Ci metto qualche attimo a realizzare che addosso ha un accappatoio aperto e un asciugamano legato in vita. Il suo sguardo segue il mio e tanto basta perché il suo viso, stranamente pallido, divenga rosso fuoco. Mormora qualche scusa balbettata, di fronte alla quale non riesco a trattenere un piccolo sorriso, dopodiché svanisce oltre il corridoio solo per tornare in meno di un minuto, questa volta vestita.

«Dimmi, sei effettivamente qui o sono impazzita? Oppure sono morta?»

Le sue domande bizzarre non mi fanno ridere, non in questo momento. Tuttavia, quando la guardo nuovamente in viso mi rendo conto che non sta per nulla scherzando. La sua faccia sembra proprio quella di chi abbia visto, attraversato e vissuto l'inferno.

«Sono davvero qui, Chiara.»

Il silenzio riempie la stanza fino a rimbalzare contro le mura. Mi sono presentata a casa sua, ma in realtà non ho idea di come si cominci un discorso simile. "Hey, Chiara, mi offri un caffè? A proposito, per quale orribile motivo mi hai abbandonata in quel modo e ti comporti come se non fosse mai successo?".

«Ti spiace se... Voglio dire, posso... Non importa» si interrompe secca, scuotendo la testa. Riconosco questo comportamento.

«Non voglio sentire cosa ha da dire lei, ma cosa hai da dire tu Chiara. Altrimenti non sarei venuta qui, lo sai.»

Questa affermazione sprigiona una nuova serie di pensieri.

Lo sai davvero? Mi conosci ancora? Mi hai mai conosciuta davvero? Oppure è solo sempre stato tutto nella mia testa? Voglio credere che non sia così, che ciò che abbiamo avuto è reale; è tutto ciò che posso fare senza mandare al rogo tutti i ricordi che ho di noi.

«Cosa volevi chiedermi?» la interrogo, sperando di allontanare tali negatività dalla mia testa.

La mia domanda cade nel silenzio. La corvina mi osserva, rimanendo a bocca aperta per qualche istante. La guardo negli occhi, quei fantastici pozzi neri che sembrano aver sofferto più di quanto lei avesse già fatto in passato, quando ancora la conoscevo davvero.

Ma che ti è successo? Che cosa ti potrebbe mai aver ridotta così?

Non ho la forza di dirlo ad alta voce, forse perché una parte di me crede che non sia opportuno porre un simile quesito, non ora.

«Ehm, scusa, frullato?» domanda; ora mi sembra di non essere mai stata lontana da lei. Non mi aspettavo che me lo proponesse con tanta naturalezza. Lei stessa pare destabilizzata dalle sue parole, per qualche attimo.

Senza attendere risposta, mi dà le spalle e si mette a predisporre gli ingredienti per quello che sembra essere uno dei miei frullati preferiti.

Compri ancora queste cose? So che non sono quelli che piacciono a te, hai sempre preferito i frappè e ho appreso che Jane non sopporti nessuna delle due cose. Quindi per chi le acquisti? Mi piacerebbe riuscire a credere che tu lo faccia perché, nella tua testa, io ho continuato a vivere al tuo fianco tutti questi anni.

«Chiara» la interrompo con tono imperativo. Si blocca e nuovamente posso vedere il suo viso, rivolto al pavimento in un atteggiamento timido e bambinesco.

«Solo un abbraccio, tutto qui» mormora, come se la cosa non avesse peso reale per lei, come se si fosse arresa ad un no che non le ho mai dato in risposta.

Allargo le braccia, invitandola a farsi stringere da me. Devo attendere qualche secondo, in cui lei mi scruta, titubante e incerta, quasi diffidente, prima che mi si getti addosso. Ha una forza nelle braccia molto maggiore di quella che mi ricordassi, ma il suo corpo è sempre caldo e confortevole com'era una volta.

«Scusa» ripete, allontanandosi da me.

«Per cosa?»

Quelle parole mi scivolano via dalle labbra prima che possa fermarle. Non volevo assolutamente adottare un approccio tanto brusco. Chiara sospira, assumendo però un'aria consapevole.

«Questo era per l'abbraccio. Ma ci sono molte cose per cui dovrei scusarmi.»

Mi guarda negli occhi. Entrambe sappiamo che da adesso il discorso si farà più serio, quindi occupo una sedia della cucina e appoggio le braccia sul tavolo. La corvina sembra ben intenzionata a servirmi il frullato, il che mi fa sorridere.

Ai miei occhi sei sempre la stessa, non sei cambiata di una virgola. Eppure mi sembri anche così tanto cambiata. Mi chiedo se anche tu, in me, riveda questo medesimo controsenso. Stare lontana da te, soprattutto non per mia scelta, mi ha resa molto diversa. Eppure ora, seduta qui al tuo tavolo esattamente nel posto che occupavo prima, mentre tu mi dai le spalle e prepari qualcosa per me come facevi sempre, mi sento la medesima persona di cinque anni fa. Mi piacerebbe, tuttavia, sapere come ti stai sentendo tu.

«Sono felice che tu sia qui» mormora. Il sussurro è tanto flebile che non sono nemmeno sicura se lei abbia detto "qui" oppure "viva". Di quest'ultima parola, tuttavia, non riesco a comprendere il significato.

«Non è la prima volta che lo dici» le faccio notare con cautela.

Il suo silenzio mi scoraggia. Non ho, al momento, abbastanza sicurezza in me stessa per porle la domanda forse più fondamentale.

Chiara posa il frullato di fronte a me.

«Posso?» chiede, accennando alla sedia vicino alla mia. Sarà casa sua, però comprendo il significato di un simile gesto. Dopo un mio cenno del capo, si siede lentamente e osserva il tavolo quasi volesse perforarlo, prima che i suoi occhi si riflettano nei miei con la stessa intensità.

Pare sia proprio arrivato il momento di affrontare questo enorme, intricato casino.

I Frutti dell'IgnotoDonde viven las historias. Descúbrelo ahora