Capitolo 23 - Puttana della fiducia

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Chiara

Alissa osserva intensamente Jane; è arrabbiata, molto. Non ha tutti i torti. Aveva il diritto di sapere fin da subito che Keyana voleva ricontattarla e che era stata disposta a mettere in mezzo anche Jane per questo. Ho dovuto costringerla a dirglielo, perché lei non aveva la minima intenzione di farne parola, né ora né mai. Io, invece, non ho mai avuto alcuna intenzione di mentire ad Alissa e non comincerei di certo a farlo per lei.

La corvina ha uno sguardo che conosco bene negli occhi, quello di chi in questo momento contatterebbe Keyana solo come puro atto di ribellione, come a sottolineare che è un'adulta fatta e finita ed è un suo diritto scegliere con chi e quando parlare, chi e quando perdonare. Probabilmente, al puro fine di riaffermare la sua posizione di persona capace d'intendere e di volere, sarebbe perfino capace di tornare insieme a Keyana.

«Lascia perdere Al. So cosa pensi. Non vale la pena.»

I suoi occhi non si allontanano dalla bionda, nemmeno accennano a farlo. Fosse in grado di darle uno schiaffo, lo farebbe. Tuttavia, Alissa non è mai stata un tipo violento né fisico.

«Vai via, Jane.»

La ragazza al mio fianco non ribatte, sebbene io possa perfettamente avvertire la tensione che le ha pervaso il corpo. Le do un colpetto sulla spalla, per incoraggiarla a lasciarmi sola con la mia migliore amica. In un primo momento sembra determinata a restare, tuttavia dopo qualche secondo mi dà retta.

«Chiara, puoi lasciarmi sola per un po'?» chiede, massaggiandosi le tempie lentamente.

«Certamente. Non fare idiozie» aggiungo, prima di seguire Jane fuori dall'appartamento, solo per rincontrarla appena fuori dalla porta. Lei fa per giustificarsi, ma qualcosa nella mia espressione fa sì che cambi idea.

Questa sua momentanea sorta di sottomissione nei miei confronti mi sembra l'occasione perfetta per affrontare un altro tema, altrettanto intricato e importante, che lei tuttavia ha fatto attenzione ad evitare per tutto il tempo.

«Credo che sarebbe opportuno andare dai tuoi. Per sistemare le cose.»

Per una volta, sono io a cambiare argomento. Non voglio che Jane spenda tempo ad incolparsi per una scelta sbagliata presa in buona fede. So, o meglio voglio credere, che Jane abbia taciuto solamente per non ferire ulteriormente Alissa e credo che anche la mia migliore amica sia giunta alla medesima soluzione. Sono certa che tra qualche giorno riuscirà ad accettarlo e sarà pronta a perdonare la bionda senza troppe esitazioni.

«Forse è il caso che vada da sola» risponde lei. Il timore è impresso nel suo tono come uno stemma reale nel sigillo di una lettera ufficiale. Un sospiro, che non riesco a trattenere, abbandona il mio corpo, seguito da un silenzio pesante come un badile.

«Chiara...» mi chiama lei a bassa voce. Una parte di lei, ne sono convinta, vorrebbe che io non la sentissi. Mi volto nella sua direzione, so che può leggere lo sconforto sul mio volto.

Chiami il mio nome come a implorare pietà, a pregarmi di capirti. Io ti capisco, Jane, e questo mi spaventa. Mi spaventa come tu eviti qualsiasi cosa implichi ufficialità, impegno eppure allo stesso tempo non sai liberarmi. Sei come tutti gli altri, Jane? So che lo sei. Ma fino a che punto? A quello che con te ci posso convivere? Oppure a quello in cui ho sbagliato a fidarmi di te? Non riesco più a leggerti Jane, la fiducia mi ha reso la sua puttana e ora mi rigira su di un dito, e lo fai anche tu.

«Non importa Jane» mento. Lo sa anche lei che importa, ma leggerlo nei suoi occhi rende la cosa solo più difficile da accettare per me, quindi le do le spalle.

«Odio sentire mio fratello che ti insulta» ammette. Io chiudo gli occhi.

Dici sul serio Jane? Questo è il reale motivo? Oppure è te che non vuoi che insulti? Fino a che punto posso credere alle tue parole, quando ieri non ne hai sprecate per fermarlo? Io ti voglio credere Jane, lo voglio con tutta me stessa. Ma come faccio a sapere che questo non implichi una firma sulla mia condanna a morte?

«Ti credo» sussurro, in risposta al suo agitarsi preoccupato. Le mie palpebre si alzano, le mie pupille la inquadrano.

Ci leggi qualcosa, Jane? In questi specchi neri e convessi. Cosa vedi? Mi vedi?

«Io voglio che tu li conosca, è solo che...»

I suoi occhi si allontanano da me, ma non prima che io possa notare che sono diventati lucidi di lacrime. Le prendo le mani, tenendole nelle mie fino a che non solleva il mento, porgendo di nuovo le sue attenzioni su di me.

«Jane, io sono qui. Non importa se tuo fratello mi insulta o tua zia mi guarda con diffidenza. Sai cosa penso di noi, ma con questo la tua famiglia non ha nulla a che fare.»

La preoccupazione, tuttavia, non abbandona il suo viso chiaro.

«E se loro non sono d'accordo?»

Nel suo quesito si nasconde ben di più di tali parole. Ciò che le crea ansia non è il rifiuto che potrei subire io, ma quello che si rifletterebbe automaticamente su di lei. Non vuole essere vittima della disapprovazione dei Craigh.

«La scelta non è loro in ogni caso, Jane» le rammento, sperando che intuisca a cosa io mi riferisca.

A guardare bene la situazione, non è nemmeno mia, non hai mai lasciato che lo fosse. Alla fine dei giochi, dipenderà tutto da te, Jane. Non da me, non dalla tua famiglia. Da te. Cosa vuoi veramente? Perché è questo che conta, Jane. Niente e nessuno potrebbe mai contrastare la tua volontà, non lo permetteresti mai, perfino io mi sento vicina ad arrendermi di fronte a ciò. Ma tu, Jane, è davvero me che vuoi?

Il piccolo sorriso che tiene le sue labbra impegnate mi comunica che il suo subconscio sa benissimo tutto quello che le mie parole nascondono. Lei ha l'aria stanca, sono sicura che non lo voglia ascoltare. Vuole solo riposarsi, un po' di pace.

Con molta calma si avvicina per darmi un lento bacio senza impegno, quasi a rimarcare la mia impossibilità di agire in modo da contrastarla.

Allora Jane, è il mio corpo, chi tu vorresti che io fossi oppure la persona che sono ciò che vuoi?

I Frutti dell'IgnotoWhere stories live. Discover now