Capitolo 14 - Nostalgia

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Sconosciuto

Rientro in casa dalla mia passeggiata serale. Cerco di fare meno rumore possibile, essendomi trattenuta fuori più a lungo di quello che avevo previsto. Non vorrei svegliare i miei genitori, sono sicura che stiano già dormendo entrambi.

Con passi felpati, raggiungo la porta della mia camera e mi intrufolo al suo interno, chiudendola subito dietro di me. Accendo la luce, quasi sobbalzando a causa del rumoroso click dell'interruttore.

Come sempre, non posso fare a meno di dedicare qualche secondo alle fotografie attaccate alla parete sopra il mio letto e a quelle di fronte alla scrivania. Un sospiro triste e nostalgico abbandona le mie labbra. Cerco con tutte le mie forze di scacciare via quei bei ricordi, che forse il tempo o forse qualcosa di diverso ha reso così dolorosi. Ci sono moltissime persone al mondo impaurite dall'idea di dimenticare: dimenticare la propria storia, le persone che ne hanno fatto parte, i momenti felici della vita ma anche quelli tristi. Io, più che di questo, ho sempre avuto un altro grande timore che oggi per me è diventato realtà: essere la sola a dar valore a dei ricordi che, belli o brutti, avrebbero finito col farmi soffrire, i primi più dei secondi. Dimenticare la mia vita, per qualche strana ragione, mi è sempre sembrata un'opzione migliore di fronte all'idea che il ricordo più bello che avessi, quello che custodivo con più cura e che mi causava la felicità e i sorrisi più grandi un giorno potesse recarmi il male al petto più acuto e le lacrime più difficili da fermare. Eppure, mi sembra evidente, vivere senza che questo accada è da considerarsi un reale privilegio.

Abbandono le scarpe in un angolo. Per una ragazza – donna – di ventidue anni, devo ammettere che sono ancora disordinata come una quattordicenne e la cosa, al momento, mi strappa una piccola risata. Da piccola ero fermamente convinta che per questa età sarei stata una grande persona, qualcuno di rilevante nel mondo. Che avrei avuto un bel lavoro, il quale mi avrebbe portata a viaggiare per il globo e mi avrebbe permesso di avere una casa tutta per me. Magari una bella villetta, di quelle che hanno anche una mansarda nella quale i miei futuri figli avrebbero avuto una cameretta tutta loro.

Invece, eccomi qui con i pacchetti di mandorle per le urgenze nascosti nell'armadio, le scarpe lasciate sotto la scrivania e la mia sedia dei vestiti che domina sul resto della stanza. Qualcuno tempo fa mi disse che sarebbe finita così quasi di sicuro.

A quel ricordo, nuovamente i miei occhi si spostano sulle vecchie fotografie. Mi chiedo che cosa sia successo alle persone lì ritratte. Probabilmente non dovrei interrogarmi su cose simili. Più volte i miei genitori mi hanno detto che è inutile rimuginare sul passato, soprattutto mio padre. "Non ti permette di andare avanti con la tua vita, tesoro". Questo è quello che ripete in continuazione. Non so da dove salti fuori tutta questa sua urgenza di progresso, di movimento verso il futuro, di farmi dimenticare avvenimenti di un tempo nemmeno così lontano e tutti coloro che ne fecero parte.

Mia madre, all'opposto, i primi tempi sembrava dispiaciuta quanto me che le cose fossero andate in quel modo. Eppure, per qualche strana ragione, anche lei concorda con mio papà. Forse crede solamente che in questo modo io possa stare meglio. La verità è che certi ricordi, soprattutto certe emozioni, non possono essere dimenticate e basta, gettate via come se non ci servissero più. Ci sono cose che sono libere di fuggire lontano silenziosamente in ogni istante, altre destinate a restare per sempre. Nonostante i miei genitori mi considerino un po' troppo spirituale quando lo dico, sono certa che molte delle sensazioni che ho provato in quegli anni siano destinate a non svanire mai. Anche se io provassi a non trattenere nulla, loro continuerebbero a scorrere in me, come un fiume in piena.

Temo che i miei non possano capirmi fino in fondo. Mi aspettavo che tutto sarebbe stato diverso. Credevo davvero che quello che stavo vivendo all'epoca sarebbe durato per sempre. Mi immaginavo un matrimonio, una carriera, una famiglia. Delle battaglie da vincere, degli ostacoli da superare, delle sfide. Avevo sempre sperato e fermamente creduto che le cose sarebbero andate diversamente e non ero la sola a dichiarare di desiderarlo più di ogni altra cosa. Evidentemente, tuttavia, ero l'unica ad intenderlo sul serio.

Mi sdraio a luci spente, osservando il soffitto, come se potesse darmi delle buone ragioni per le quali, alla fine, sono rimasta sola. Da un giorno all'altro. Certo, l'ultima volta che avevamo parlato avevamo anche discusso. Ma un litigio è forse una buona ragione per lasciarmi su due piedi? Senza una parola, senza un biglietto. Semplicemente un "puff", come nei cartoni animati. Questa volta, però, non ha portato a nessun "per sempre felici e contenti". E immagino che le mie sensazioni non contino al momento, perché nonostante tutto, c'è ancora una parte di me convinta che alla fine tutto andrà bene. Una sorta di calma a lungo termine, la quale rimane presente anche nei momenti di maggior sconforto, paura o rimorso nei confronti di ciò che è stato e delle ingiustizie ed i torti che mi sono stati fatti.

Ci si potrebbe chiedere, vedendo l'acrimonia e la nostalgia che mi assalgono ogni volta che affronto l'argomento, perché allora non sia stata io a cercare la mia dolce metà dell'epoca. La verità è che mi ha lasciata in condizioni pietose, che altro avrei potuto fare? E quando sono stata meglio e nelle condizioni di agire, ormai era troppo tardi. Era passato troppo tempo, e di sicuro se ci fosse stato il desiderio di riallacciare i rapporti lo avrei saputo. L'altra persona ha sempre avuto tutte le possibilità di riconnettersi a me, più di quante ne abbia avute io di fare lo stesso. La sua decisione mi è sempre stata chiara nel fragore della sua assenza.

Non importa. Quel che è passato è passato, no?

Temo di non aver mai udito menzogna più grande e pericolosa di questa.

I Frutti dell'IgnotoWhere stories live. Discover now