Capitolo 44 - Persona anormale

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Chiara

Apro con un colpo netto la porta che avevo lasciato solamente appoggiata al telaio e mi precipito in sala da pranzo con il nome di Jane sulle labbra. La scena che vedo calma, sebbene di poco, i miei nervi: Richard è in piedi, per terra ci sono la sua sedia ribaltata e il suo tovagliolo. Anche Jane non è più seduta, al contrario dei suoi genitori. Proprio come l'altra volta, tutti quanti urlano e non riesco ad afferrare il motivo del litigio.

Affianco la ragazza bionda e le chiedo sottovoce se vada tutto bene, ma lei non si degna di rispondermi. A farlo è suo fratello maggiore.

«Il problema sei tu, sporca inferiore!»

Le sue parole innescano in me una reazione istantanea che la mia razionalità fatica molto a tenere a bada. La rabbia si diffonde dentro ogni mia singola cellula, suggerendomi di fargli ingoiare quella frase, assieme alla sua stessa lingua e magari qualche incisivo.

Dopotutto, ne ha otto, no?

«Non parlarle così diamine!» strilla Jane, incenerendolo con lo sguardo. Credo che nessuno di noi stia ascoltando il signore e la signora Craigh, i quali continuano a rivolgersi un po' a tutti i presenti, talvolta scambiandosi anche qualche parola l'un l'altra. Forse sono i miei pregiudizi nei confronti dei ricchi con una florida carriera internazionale a pronunciare queste parole, ma mi pare evidente che non sono mai stati presenti né hanno mai dovuto affrontare situazioni simili. Non sono nemmeno in grado di calmare le acque quando si tratta dei propri figli.

«Perché non dovrei? Non è nessuno!»

Maledetto impertinente. Sarò nessuno, ma i connotati te li posso cambiare lo stesso, senza problemi.

«Ti sbagli, è la mia ragazza!»

Questo urlo acuto, deciso, pone fine alla conversazione per un minuto buono. Tutti, la sottoscritta compresa, stiamo guardando Jane adesso. Una parte di me sarebbe disposta a non dissentire e mostrare apprezzamento per il suo coraggio, l'altra pensa che non avrebbe potuto darne dimostrazione in un momento meno opportuno. In ogni caso, basta una tanto breve esclamazione per far scoppiare una bomba.

Richard sbraita numerosi insulti nei confronti di Jane, subito prima di avvicinarsi a lei con un intento tanto forte di colpirla e farle male che gli si legge negli occhi e trasuda da tutti i suoi pori. La signora Craigh guarda la scena con orrore, incapace di proferire parola. Robert chiede al figlio cosa abbia intenzione di fare, senza però avere nemmeno il fegato di interporsi realmente fra i due, come se poche parole sapessero calmare una rabbia tanto cieca quanto il disgusto che Richard sta manifestando.

Ophelia prova a prenderlo per un braccio ma viene spinta via, dritta contro di me, che la sorreggo contro ogni aspettativa. La donna è pronta a tornare alla carica, questa volta con più rabbia di prima, abbastanza da far quasi paura a me. Utilizzando tutta la forza che ho in corpo la trattengo: sono certa che di forza ne abbia, ma dubito possa fare qualcosa a fronte di un ragazzo alto quasi due metri nel fiore degli anni.

In men che non si dica, Richard è abbastanza vicino a Jane da poterla colpire. Questo basta per farmi prendere una decisione dalla quale da quasi otto anni mi tengo il più distante possibile: lasciare che la rabbia che provo mi guidi a briglie completamente sciolte, diventando tutto quello che ho lottato tanto per non essere. So bene che è una scelta dalla quale potrei non tornare indietro, ma se Jane ha avuto il coraggio di mettersi in gioco per me non importa quanto di solito mi manchi di rispetto, è giusto che anche io mi metta in gioco per lei anche se questo, ancora una volta, significa rinunciare a tutto ciò in cui credo per Jane Craigh.

Sorreggo la prozia di Jane per un braccio e la rimetto in equilibrio stabile, scivolo al suo fianco senza perdere di vista il mio obiettivo; impiego due semplici, ampie falcate per raggiungerlo.

E così, mi lasci pieno controllo? Brava ragazza. Finalmente.

Lascio scorrere nella mia testa le parole di quella voce che di solito mi impegno ad ammutolire. Me la sento fluire nelle vene, come se fossimo fianco a fianco, come se io fossi il corpo e lei la mente.

Questione di un attimo, un battito di palpebre. Jane mi chiede che intenzioni abbia, Ophelia osserva in silenzio, Robert indietreggia, Mrs. Craigh mi guarda con orrore. Prima che chiunque possa fare qualcosa, il mio pugno colpisce il lato sinistro della faccia di Richard, costringendolo ad arretrare. Jane ha la stessa reazione, mostrandomi il puro terrore che prova nei miei confronti, ma di questo non mi importa. Al momento tutto ciò che voglio è rendere inoffensivo il ventisettenne, il quale ricambia il mio sguardo con la stessa scintilla negli occhi.

«Vuoi colpire qualcuno? Colpisci me, stronzo.»

Sotto gli occhi stupefatti di tutti, mi dà retta.

Pessima scelta.

Quella voce ride, io sogghigno.

«Richard, fermo!»

Per la prima volta la madre di Jane interviene mentre guarda con orrore il figlio, che ignora completamente le sue suppliche. Senza un minimo di ritegno, sorrido alla signora. Un sorriso smagliante, a trentadue denti, dettato da un'adrenalina e una piacevole sensazione di potere che non sperimentavo da anni.

Vuoi ballare stronzetto? Va bene, balliamo.

Attendo pazientemente che provi a colpirmi e prima che lui possa fare qualcosa di concreto, nonostante i suoi tentativi, si ritrova a terra con me sopra di lui e il naso fratturato. Il suo sangue scorre sulle mie mani, mentre lui si ribella. Ci ribaltiamo un paio di volte e anche lui, quando è in posizione favorevole, non si trattiene. Mi colpisce l'occhio, lo zigomo e la bocca. Sento il sapore ferroso del sangue inondarmi la bocca mentre incasso qualche altro colpo, poi due alle costole, cinque al fianco. Con uno sforzo, do un colpo di reni, faccio leva sul gomito destro e Richard è di nuovo steso a terra. Lo afferro per la maglietta e continuo a sferrare colpi forti e ripetuti sul suo zigomo, lasciando che la sua nuca sbatta rumorosamente contro il pavimento, fino a che lui è ridotto uno straccio, tanto esausto da non provare più nemmeno a muoversi.

Mi alzo e pulisco col pollice il mio labbro insanguinato, ancora sogghignante.

Mi sento viva. Finalmente viva.

Solamente quando i miei occhi neri incontrano quelli terrorizzati di Jane mi rendo davvero conto di cosa ho fatto. La voce nella mia testa sparisce come le mani che scagliano le pietre; l'adrenalina e la rabbia se la danno a gambe altrettanto in fretta, sostituite dal panico.

«Io... Mi dispiace, non...»

Osservo la faccia di tutti i presenti, tranne quella di Ophelia, la quale si trova alle mie spalle. Quella che mi fa sentire più in colpa è l'espressione di Jane. Mi guarda come se fossi un mostro e so che non ha tutti i torti.

Senza aggiungere altro, corro fuori da quella casa, con la consapevolezza che, alla fine dei conti, io non potrei mai e poi mai essere una persona normale.

I Frutti dell'IgnotoWhere stories live. Discover now