Capitolo 59 - Controllo

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Chiara

Spesso capita di percepire lo scorrere del tempo troppo velocemente. Altre volte, invece, un istante può durare anni, anche per sempre.

«Chiara.»

La Sua voce. Chiudo gli occhi ed espiro dal naso, stringendola ancora di più a me. Quel suono soave, gentile perfino nel più labile dei sussurri. Il mio ricordo non potrebbe essere nemmeno lontanamente paragonato all'originale.

«Sono qui Giulia. Sono qui.»

Sento il bisogno di rassicurarla, di cercare con tutte le mie forze di avvicinare di più i nostri corpi. Voglio che lo sappia, che lo senta che io non l'ho mai lasciata andare.

«Sono sempre stata qui.»

Posso dirle poche parole, prima che un suono simile ad un colpo di tosse ci interrompa. Una voce acuta, stridula e che riconosco tanto bene da dover frenare un conato di vomito.

Mi separo da Giulia e la guardo ancora una volta negli occhi.

«Ti prometto, con tutta me stessa, ti prometto che andrà a finire bene.»

Nemmeno tutte le parole del mondo basterebbero adesso, eppure non mi sembra stupido sperare che il mio sguardo sia sufficiente. L'ultimo che le rivolgo prima di darle le spalle, pronta ad affrontare chi tra noi è il vero mostro, più mostro di quanto mi sia mai sentita io.

La bionda non sembra nemmeno sorpresa. Non si sbraccia nell'affanno di darmi una spiegazione, nemmeno mi guarda. Sembra, più che altro, che stia studiando Giulia, ancora immobile alle mie spalle.

«Gallipoli eh. Pensa, ai miei tempi si chiamavano corna.»

Non è la mia miglior battuta, lo ammetto. Ma questo è il meglio che riesco a dire di fronte all'evidenza che la persona che ho accolto in casa mia se la stia facendo con la mia ex fidanzata, quella di cui conosceva benissimo il volto, quella che teoricamente dovrebbe essere morta da anni.

In risposta ricevo un sorriso, uno storpio ghigno maligno che sembra essere il perfetto ritratto del profilo sconosciuto che mi ha fornito Ophelia. Scrolla le spalle, come se fosse cosa da nulla. La furia ha preso il posto della paura, cieca mentre percorre le mie arterie, vene e capillari; alimentata dall'ossigeno brucia dentro di me come fuoco. L'istinto animalesco minaccia di prendere il sopravvento su di me, a stento riesco a controllarmi e non sono nemmeno certa che sia per qualche motivo all'infuori della presenza della persona che amo proprio dietro di me.

«Io e tua zia abbiamo avuto modo di fare una bella chiacchierata.»

Non credo che il mio tono di voce sia tanto distante da quello tipico di un serial killer che ha di fronte la sua preda più attesa. Questa mia affermazione sembra scuoterla appena.

«Quindi dimmi esattamente, da quanto tempo te la spassi con Giulia, due mesi? Sono sicura che tu l'abbia riconosciuta subito, appena l'hai vista. Lo hai fatto di proposito, non è così? Oh io scommetto che tu l'hai proprio cercata, l'hai aspettata nell'ombra, ti sei fatta trovare da lei nel silenzio in cui hai meditato tutto questo.»

Di nuovo quel sorriso quasi demoniaco. Non credo sia necessario aggiungere altro. Non per me.

«R-Rose?»

Riconosco questa voce rotta, quella sul filo del pianto.

Non piangere Giulia, ti prego. Ti ho promesso che andrà bene, fidati di me. Sei al sicuro, fino al mio ultimo respiro, non lascerò che lei ti faccia male.

Me lo ripeto, sebbene io sappia che per proteggerla da quell'essere ripugnante sia ormai troppo tardi.

«Rose? Lei è la ragazza di cui mi hai parlato? Quella che ti ha fatto del male?»

Più il tempo passa, più il mio nervosismo si fa cieco, reale, concreto. Quasi tangibile, come un flusso di energia rossa che mi conduce dritta verso quel corpo esile e chiaro. Potrei negare, ma non dico nulla.

«Sì, è lei.»

Sulla mia pelle, attraverso i vestiti, bruciano gli occhi di Lei. So bene che cosa contengano. Rimorso, rabbia, delusione.

«Hai visto le sue foto in camera mia.»

Le hai ancora? Io sono ancora nella tua vita, in qualche modo, dopo tutto questo tempo? Non so perché o come tu sia viva, ma sappi che anche le tue foto sono ancora lì e le guardo ogni sera. Vorrei trovare le parole per dirtelo, Giulia. Lo vorrei così tanto.

«Perché non mi hai mai detto che fosse la stessa persona?»

«Non volevo turbarti, Giulia. Sembravi così addolorata ogni volta che entravamo in argomento. Mi è sempre sembrata crudele l'idea di dirti che la stessa persona che ti aveva abbandonata così era ancora in zona, sempre pronta a distruggere i sentimenti di qualcuno.»

«Come cazzo ti permetti, brutta stronza?!»

Un ringhio simile non aveva mai lasciato le mie labbra prima.

«Eri lì, eri lì ogni cazzo di volta che ho pianto per lei, tu c'eri. Ogni volta che cosa mi dicevi, eh? "Ormai è passato molto tempo Chiara, devi dimenticarla Chiara, lei non vale più fottutamente niente Chiara"! E ora ti permetti anche di fare la santa del cazzo?!»

Nulla cambia nella sua espressione, anzi, Jane sembra essere ogni minuto più compiaciuta della mia reazione, quasi fosse esattamente quello in cui aveva sempre sperato. Come ho potuto essere così cieca per tutto questo tempo?

«Non ha tutti i torti, Chiara.»

Sono sicura che chiunque nella sua vita abbia avuto un momento di rottura, in cui abbia chiaramente percepito qualcosa spezzarsi dentro di sé. Io ne ho avuti tanti, di quei momenti. Uno di essi è adesso.

Mi volto lentamente, con cautela, quasi come se impiegare più tempo possa cambiare le sue parole.

«Cosa?»

«Tu te ne sei andata. Dopo l'incidente. Non sei venuta nemmeno una volta. Nemmeno sapere che ero sopravvissuta al coma ti ha fatta tornare. Sei sparita, all'improvviso. Non una lettera, non un saluto, nulla. Mi hai fatto molto male, Chiara. Io ti ho amata molto. Non credo tu abbia mai provato lo stesso per me.»

Il mondo comincia a ruotare intorno a me. Un po' come quando si è totalmente ubriachi, ma senza l'effetto anestetizzante dell'alcol.

Menzogne! Le menzogne vanno punite!

Quella voce. Non credevo sarebbe tornata ancora, non così, non adesso.

Potrei dire mille frasi, spendere milioni di parole. Potrei dire che sta mentendo, potrei dire che non è così che sono andate le cose. Potrei urlarle in faccia che non ho mai smesso di andare sulla sua tomba e parlarle, potrei dirle che ho assistito al suo funerale e al momento in cui la bara è stata affondata nella terra, due metri più in basso del suolo che io calpestavo.

Eppure le parole non escono, restano intrappolate in quella bolla di rabbia e dolore che minaccia di sfondarmi il petto. Le estremità del mio corpo cominciano a formicolare e nessuno dei miei tentativi di ripristinare il pieno contatto con esse dà il minimo segno di successo. Le parole e la voce di Giulia mi rimbombano in testa. Il fiato caldo esce con irruenza dalle mie narici, come se l'aria che respiro non fosse abbastanza per alimentare le emozioni che provo.

Tutto turbina, i miei pensieri e quelli della voce che mi occupa la testa si confondono, lottano e diventano un tutt'uno a tratti. Il lavoro di tutti questi anni si sbriciola sotto i miei occhi e, per l'ennesima volta, perdo il controllo.

I Frutti dell'IgnotoWhere stories live. Discover now