Capitolo 48 - Giudici di noi stessi nei limiti dei tribunali altrui

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Chiara

Sento i passi di Alissa avvicinarsi lenti al salotto di casa sua, rumore che precede di poco il suo ingresso nella stanza.

«Non hai dormito.»

Scuoto la testa. Come avrei potuto dormire? Dopo quello che ho fatto ieri, di sicuro non me lo merito. Non credo di meritarmi nemmeno di avere più a che fare con Jane, la capirei se decidesse di tornare a casa sua e tagliare tutti i ponti con me. Non dico che questo non sarebbe quello che io riterrei più corretto, però certamente non sono questi i modi in cui vorrei ottenerlo. Vorrei che Jane smettesse di costringerci in una relazione che sembra un circo horror, è vero; tuttavia il mio reale desiderio è che lei impari ad essermi amica e rimanere nella mia vita come tale, non che sparisca senza lasciar traccia. E se mai dovesse andarsene, vorrei che fosse una scelta ragionata, elaborata, discussa che portasse ad una chiusura serena, non una fuga da qualche mio errore che mi trascinerò dietro in veste di rimorso per il resto della vita.

«Smettila di rimproverarti Chiara. So come ti senti, ma lo hai fatto per proteggerla. Non nego che tu abbia esagerato, ma non sei tanto mostro quanto racconti a te stessa.»

Non dovresti essere così ottimista e gentile con me Alissa. Non sono cambiata affatto in tutti questi anni. Sono solo lo stesso essere violento che ero. Buona causa o cattiva causa non cambia il dato di fatto: ho pestato a sangue un uomo viziato quando avrei potuto fermarmi molto prima. Avrei potuto immobilizzarlo, spingerlo e portare via Jane, lasciare che fossero i Craigh ad occuparsi di lui. C'erano decine di scelte a mia disposizione, io ho volutamente deciso di fargli del male e mi è anche piaciuto. Non ci sono scuse per questo, Al. Non ci sono oggi né ci saranno mai. Sarò sempre quello che ero. Non importa quante storie racconti a me stessa oppure a te. Non sono fatta per le emozioni. Io posso accettarlo. Tu, perché tu no?

«Avrei dovuto agire diversamente» taglio corto, prima che lei possa riprendere a cercare qualche giustificazione per farmi sentire meglio con me stessa. Nulla di quello che potrebbe dire avrebbe un qualsiasi effetto, se non forse quello opposto.

«Non ho mai detto il contrario, ma penso che Jane ti conosca abbastanza per essere in grado di capire e perdonarti.»

Lo sei, Jane? Anche se tuo fratello ha il naso rotto adesso? Anche se probabilmente la tua intera famiglia mi odia e ieri mi guardavi come se dovessi fuggire da me? Non vedo in quale modo potresti perdonarmi, men che meno comprendere quello che ho fatto. Non ho nemmeno idea di come tu potresti mai guardarmi ancora in faccia. Io di sicuro non riuscirò a farlo adesso. Forse oltre a mettere in conto che qualcosa di simile sarebbe potuto succedere, avrei dovuto tenerti costantemente lontana da me, costringerti in qualche modo; oppure andarmene lontano di nascosto. E in questo, come in molto altro, come con Giulia, ho fallito.

«Al, ho distrutto la faccia di suo fratello, non ho staccato la testa alla sua Barbie preferita» le faccio notare con una certa acidità nella voce.

«Sì, il fratello che ha insultato te, lei e che ha provato a picchiarla. Fino a che lui non ha cercato di farle del male, tu non sei intervenuta. Non scordartelo, perché sono sicura che lei non lo ha fatto.»

Il silenzio segue le sue parole. Non saprei nemmeno esattamente che cosa rispondere a questa affermazione. Per quanto io adori la mia migliore amica, il tratto di lei che non sono mai riuscita a sopportare davvero è proprio questo: mi vuole bene e da me accetta di tutto, il che la porta a creare delle sorta di giustificazioni per le quali anche le altre persone dovrebbero accettarmi e perdonarmi.

Non capisco se tu non te ne renda conto e creda alle cose che dici, Alissa, oppure siano solamente la pena e la compassione che provi nei miei confronti a parlare. Ti ho sempre considerata una delle persone più intelligenti e sveglie di questo mondo, tuttavia è come se quando si tratta di me tu divenissi cieca. Non ti chiedo se sia la nostra amicizia ad averti messo una benda sugli occhi, questo è più che evidente. Mi sento tuttavia in posizione di chiederti il motivo. Essere la mia migliore amica in tutti questi anni ha fatto sì che tu vedessi il peggio di me e tutte le sue sfumature, molto più frequentemente del mio lato positivo e buono, sempre ammesso che io ne abbia uno. Le scene a cui hai assistito avrebbero dovuto aprirti gli occhi, fare sì che tu ti rendessi conto che non sono io la vittima, non sono io quella che merita di essere compatita, consolata, rassicurata o, tanto meno, giustificata. Apparirebbe chiaro a chiunque, perfino Jane alla fine ci è arrivata, persino lei è giunta alla conclusione che non c'è nulla da difendere in me, addirittura la persona più testarda che abbia mai conosciuto ha saputo ammetterlo ad alta voce. Allora perché tu non lo vedi?

«E comunque, non puoi lasciarle casa tua libera per sempre, prima o poi devi tornare. Dovete parlarne.»

Annuisco, alzandomi dal suo divano per la prima volta da quando ieri ho fatto irruzione qui in piena notte. Mi ritengo solo che fortunata ad avere qualcuno come Alissa e i suoi genitori a coprirmi le spalle ogni volta che faccio qualche casino e quindi corro a rifugiarmi qui.

Nel momento in cui arrivo ai piedi del condominio, noto Jane scendere dalla sua auto. Non saprei dire se sia uscita presto questa mattina o non abbia fatto mai ritorno, ma non credo nemmeno di avere alcun diritto di chiederglielo ormai.

Nel silenzio, la precedo ed entriamo in casa assieme, dove le serrande abbassate rispondono indirettamente al mio dubbio.

«Hai fame? Hai fatto colazione?» chiede Jane, affrettandosi in cucina. «Sono andata a prendere le brioches ma era tardi per aprire tutto, temevo che saresti tornata prima di me quindi ho lasciato la casa com'era.»

Seguo le sue azioni dalla soglia della cucina, senza dire una parola; solo adesso mi rendo conto che i vestiti non sono gli stessi che indossava alla cena. Il mio sguardo si sposta sul pavimento al solo pensiero. Jane ripete la domanda, ma mi sento troppo in soggezione per risponderle.

«Jane» la chiamo, cercando di fermare il suo turbinare. «Possiamo... Possiamo parlare di ieri?»

Finalmente rimane immobile, rivolgendomi però un'occhiata confusa.

«Che intendi?» mi interroga, ma il mio sguardo, sebbene sia fisso altrove, è una risposta più che sufficiente. «Chiara, guardami.»

Faccio come dice, sebbene mi vergogni di me stessa al momento.

«Richard voleva picchiarmi e ha osato insultarti. Gli hai dato quello che si meritava. Non c'è nient'altro da dire.»

Notando la mia aria poco convinta, mi si avvicina e mi bacia in modo estremamente lento, combattendo anche contro le mie vane proteste. Per la prima volta queste non sono scaturite da quel ribrezzo di cui sento il retrogusto amaro in bocca, ma dalla consapevolezza di non meritarmi un trattamento simile.

Si separa da me solo dopo qualche minuto.

«Adesso tu mi fai il favore di sederti a quel tavolo e fare colazione con me. Per piacere Chiara. Mi sei mancata stanotte.»

Per quanto provi un enorme nausea nei confronti di me stessa al momento, agisco esattamente come da lei richiesto, il che le fa spuntare un sorriso di cui non mi sento degna.

Tu sei proprio strana Jane. Spero solo che non cambierai idea un giorno. Tengo a te, indipendentemente dal fatto che Giulia sarà sempre l'unica ad avere il mio cuore. Ti considero una mia grande amica, nonostante tutto; in qualche modo hai il mio affetto e la mia fiducia. E se tu te ne andassi un giorno mi faresti più male di quello che sarebbe giusto, più di quello che potrei ammettere.

I Frutti dell'IgnotoWhere stories live. Discover now