Capitolo 17 - Fama

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Sconosciuto

«Mamma, papà, io vado!»

Afferro una pesca dal cesto della frutta ed esco dalla porta di casa. Scendo le scale con andamento saltellante e salgo sulla mia macchina di seconda mano. In una ventina di minuti riesco a raggiungere la struttura universitaria e a trovare un posteggio decente.

Osservo l'edificio per qualche secondo, prima di dirigermi verso la facoltà di psicologia. Da poco si è sparsa la notizia che uno dei corsi sarebbe passato a breve nelle mani di una nuova docente e oggi avrò occasione di conoscerla per la prima volta.

Spesso sono stata presa per strana a causa dell'entusiasmo che provo nei confronti di quello che studio, ma delle opinioni altrui non mi interesso molto. Il mio è un semplice interesse come un altro, una passione ed io mi limito a seguirla.

Proprio questo mi porta ad entrare in classe con un grande sorriso sul volto e assicurarmi un posto in prima fila, proprio di fronte alla cattedra.

«Lei è in anticipo» mi fa notare una donna sulla cinquantina, osservandomi al di sopra delle lenti degli occhiali.

Annuisco in risposta, accennando un piccolo sorriso.

«Cognome?»

«Paraleti.»

In risposta ottengo solo un breve mugugno, prima che la donna cominci a digitare qualcosa sul portatile.

«Immaginavo» mormora a mezza voce. «Lei è la studentessa prodigio di cui ho tanto sentito parlare, suppongo.»

Il suo commento mi porta ad arrossire violentemente. Non credo di poter essere definita in questo modo. Mi impegno in quello che faccio, sono una studentessa appassionata e ho buoni risultati alla fine di tutte le sessioni. "Prodigio", però, è un termine che mi si addice ben poco.

«Non credo di essere io» dico a mo' di scuse.

La donna ripete il mio nome per intero, facendomi sgranare gli occhi. Mi affretto ad annuire, cosa che fa anche la donna dai capelli ramati.

«Sei proprio tu. La giovane donna dai tutti 30 che si accende ogni volta che parla, disquisisce ed obietta senza timore ed interviene tanto spesso durante le lezioni da essersi fatta un nome tra i docenti.»

Il modo in cui lo dice mi fa risultare molto irritante alle mie stesse orecchie. Eppure, nessun docente, che io ricordi, mi ha mai chiesto di tacere né ci sono state lamentele riguardanti i miei molteplici interventi. Tutti mostrano sempre, al contrario, un grande apprezzamento. Mi è forse sfuggito qualcosa?

«Questo è un male?»

La domanda sfugge, irrefrenabile, al mio controllo. Seguita da una pentita occhiata di scuse che può ben poco di fronte a quella inscrutabile della donna di fronte a me.

«Non necessariamente.»

Questo è tutto ciò che ottengo come riposta prima che un centinaio di studenti facciano il loro ingresso, disponendosi attorno a me. Non ho stretto grandi amicizie con i miei compagni di corsi, sia per i posti che scelgo, sia perché tutti sembrano essere troppo arroganti per i miei gusti. Si comportano come se la laurea magistrale in psicologia la possedessero già, mentre la maggior parte di loro spesso parla alquanto a vanvera.

«Signorina Paraleti, gradirebbe dirmi esattamente gli argomenti affrontati all'ultima lezione con il dottor Stromboli?»

Traggo un lungo sospiro prima di rispondere alla domanda. Non mancano le vaghe risatine di sottofondo, forse perché io sono qui prima del previsto. Il prossimo anno dovrei ottenere la mia laurea triennale, ma ogni volta che ho avuto tempo libero ho sempre seguito con molto interesse anche le lezioni dei corsi degli anni successivi. Di certo non mi è chiaro quale sia il problema per i miei colleghi più grandi.

La donna annuisce e, come se nulla fosse, riprende il discorso esattamente da dove lo lascio io. Spiega in modo chiaro e intuitivo, eppure dal chiacchiericcio di sottofondo sembra che solo io e pochi altri siamo realmente interessati a ciò che sta dicendo.

Ammetto che la psiche umana mi ha sempre affascinata, anche per questo ho scelto tale percorso di studi. I reali motivi, tuttavia, sono alquanto differenti. Tuttavia, sono proprio questi ciò che mi sprona a prestare così tanta attenzione alle parole dei docenti. Sono anche le stesse ragioni che hanno trasformato il mio interesse in qualcosa di quasi morboso e hanno mutato lo studio quotidiano da piacevole e costante ad assiduo e smanioso. Progredire, comprendere e apprendere cose nuove sono diventate delle vere e proprie necessità irrefrenabili. Altrettanto profondamente necessario è per me comprendere al meglio il modo in cui la psicologia umana funziona.

Si tratta, ad essere del tutto onesta, di bisogni antichi, lontani da me tanto quanto le loro cause scatenanti, distanti da me ormai da sin troppi anni per credere che io me le ricordi nitidamente. La verità è che vi sono sempre stata tanto legata da ottenere che si tatuassero nella mia mente. A volte credo che potrei perfino dimenticarmi il mio nome, ma non certi aspetti del mio passato e probabilmente questo in parte mi spaventa. In fondo, significa che sarei pronta a perdere me stessa piuttosto che il mio passato e non so in quale scenario una simile scelta involontaria potrebbe essere razionalmente accettata a cuor leggero.

Tuttavia, sono cosciente di avere ancora un legame profondo con quelle ragioni. Non solo le sento ancora mie, ma il bisogno di tenerle vive e alimentarle, di soddisfare le mie aspettative e pretese a riguardo sono quasi più forti di prima, in un ciclo a dir poco paradossale. In fondo, distanza o meno, passato o presente, continuo a sperare che le vecchie ragioni daranno i loro frutti in un futuro e prego che questo sia a me il più prossimo possibile, sebbene forse in modi diversi da quelli che avevo pianificato.

Quando sono fuori durante le mie passeggiate notturne, tuttavia, non posso mentire a me stessa e sono costretta ad ammetterlo: so bene che dietro il mio ottimismo è presente anche il terrore che qualche evento futuro, per colpa mia, possa chiudersi nuovamente in una tragedia.

I Frutti dell'IgnotoWhere stories live. Discover now