Capitolo 57 - Cento metri

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Chiara

«Cosa?!» domando quasi incredula, nonostante l'espressione di Ophelia fosse stata un'ottima anticipazione a questa notizia.

«Jane non è qui, non è mai venuta a Gallipoli.»

Sento la voce di Alissa a malapena attraverso il fischio che minaccia di perforarmi i timpani.

«Sei sicura? Hai guardato bene?»

«Me lo hanno detto i suoi amici Chiara. Ha rifiutato il loro invito, ha detto loro che sarebbe rimasta a casa, per passare il tempo con la sua metà.»

«Ma lei a casa non è mai tornata.»

Alissa dice qualcosa di breve, prima di staccare la telefonata, ma non riesco a concentrarmi sulla sua voce a sufficienza da comprendere.

Non ho mai creduto che due esseri umani sconosciuti potessero comprendersi l'un l'altro con il semplice scambio di sguardi. Tuttavia, sarei una vera bugiarda se negassi che in questo momento posso vedere riflessa negli occhi di Ophelia piena comprensione per quello stesso timore che percepisco forte e chiaro nei miei.

«Va', ragazza. Quando sarà finita, mi troverai qui.»

Non fosse questa la situazione, di certo al momento riderei per quanto le sue parole suonino come un vecchio cliché. Invece, la sola azione che mi riesce è correre fuori, mentre la paura sembra volermi soffocare. Paura di fallire. Paura di scoprire che la sola persona a cui sia riuscita ad affezionarmi dopo la morte di Giulia non abbia fatto altro che usarmi, non sia stata altro che una lercia illusione, la quale ha sporcato anche i miei valori e me.

Non ho mai rincorso nessuno nella mia vita, o almeno non credo di averlo mai fatto davvero. Sarei andata in capo al mondo per Giulia, lo farei per Alissa, ma da me non sono mai fuggite. Di certo sul mio pedigree un'altra esperienza che non si trova è quella di aver mai dato la caccia a qualcuno. E sebbene non mi sia capitato prima, in ogni caso non lo avrei mai immaginato così.

Il mio cervello continua a lanciare bombe di spiegazioni plausibili, secondo lui razionali, tanto da cadere nel ridicolo perfino ai miei occhi. Il corpo di cui per gli ultimi tre anni ho mantenuto il controllo agisce per automatismi. I bulbi oculari di cui fino ad oggi mi sono servita vedono nero, null'altro che nero, misto a schifosi e nauseabondi ricordi.

Raggiungo la città, mi spingo fino ai pressi dell'università, seguendo più il mio istinto che altro. Anche se volessi ragionare, la mia mente al momento non ne sarebbe capace. Batto i marciapiedi con passo malfermo e frettoloso, cercando qualcosa, nemmeno io so esattamente cosa, fra la folla. Uno zaino familiare, un paio di scarpe conosciute, una testa bionda che al momento mi sembra di non aver mai nemmeno visto in vita mia. Il mio stesso battito cardiaco mi rimbomba nelle orecchie, facendo sì che io non possa fare pieno affidamento sulle mie facoltà uditive.

Senza apparente motivo, affretto ancora il passo. Scruto le vetrate dei bar e le vetrine dei negozi, il lato opposto della strada. Setaccio le auto parcheggiate e quelle che sfrecciano nel traffico, i volti delle persone che mi circondano. Tutto alla ricerca di lei, che poi lei non so nemmeno chi sia realmente.

Le parole di Ophelia mi offuscano la mente. L'idea di aver perso tutto quello in cui credevo solo per dare retta a quella che sembrava una semplice ragazza disorientata ed è in realtà il mio personale incubo mi sta già perseguitando. Il volto di Giulia mi rincorre, sputandomi in faccia cose che so essere frutto dei miei pensieri e non di ciò che proverrebbe dalle sue labbra se fosse ancora viva.

Di certo non era nei miei piani di abbandonare i miei valori, ancora mi chiedo come un essere tanto subdolo sia riuscito ad infilarsi tanto silenziosamente nella mia testa, fino al punto di mutarmi in qualcuno che non sono mai stata. Tre anni sono lunghi, ma prima di vivere tutto questo credevo che nemmeno la fine del mondo sarebbe mai stata abbastanza per farmi dimenticare chi sono.

Spero che tu possa perdonarmi. Mi sento persa, Giulia. Persa in me stessa, persa nella fiducia che ho per Alissa, persa nella nostalgia e nel dolore dell'averti condannata a morte con le mie mani. Mi sono perduta. Non so se e quando riuscirò a ritrovarmi, Giulia. Ma dovunque sarò, dovunque questa follia mi porterà, sappi che io ti amo. Non ho mai smesso di amarti, nemmeno per un attimo.

Queste frasi si fanno strada nella mia mente senza che io ne comprenda la reale utilità.

Svolto l'ennesimo angolo, ma ormai ho l'impressione di girare in tondo. Le strade, le auto, perfino le persone sembrano tutte uguali. Gli stessi volti, gli stessi gesti, le stesse voci. Ma nessuno che appartenga a lei, a quella specie di mostro distruttore di persone.

Percorro qualche altro tratto e tutto si ferma. Le strade si svuotano, le auto scompaiono, i rumori svaniscono come nello spazio. La mia ansia, i miei pensieri, la paura, le preoccupazioni e le incertezze, perfino quel senso di doloroso vuoto che provo ormai da anni, tutto si volatilizza.

Adesso c'è solo Lei.

La vita è bizzarra, bizzarra come quando si è alla ricerca matta di qualcuno e invece ci si ritrova a fermarsi per il volto di qualcun altro, il cui incontro casuale può essere mille volte più prezioso. E nel lungo corso dell'esistenza umana, nessuno di noi sa esattamente dire quanto si è lontani dal prossimo grande, sorprendente evento.

Oggi, per me, quella distanza sono pochi metri.

Il suo nome si fa strada forte, potente nella mia testa, tanto da non curarmi del fatto che stia baciando qualcuno.

Trenta.

I suoi occhi incrociano i miei e se la fine del mondo esistesse davvero non potrebbe essere altro che questo momento.

Cinquanta.

Dovrei avere mille dubbi, miliardi e più domande, ma il mio cervello per prima volta in tutta la mia vita non ha nulla da dire, è vuoto, muto.

Settantacinque.

Lei è tutto quello che vedo, tutto quello su cui la mia attenzione potrebbe mai concentrarsi, mentre La sento farsi strada dentro di me fino alle viscere.

Ottantasette.

Ora sono abbastanza vicino da sentirla, da respirarne la presenza così che mi riempia i polmoni e inebri la mia psiche stanca.

Novantadue.

Posso sentirne il calore fin da qui, percepire lei in tutta la sua interezza nel corpo, nel respiro e nella mente. Sussurro il suo nome: una preghiera, una supplica, l'emissione di un respiro imprigionato nella mia gola da ormai troppo tempo.

Novantanove.

Ecco, ora ci sono, sono qui. Posso stringerla, posso sentire la sua pelle sotto la mia, la sua carne calda nelle mie mani. Il battito del suo cuore fare a gara con il mio. Adesso non siamo più due, siamo una.

Cento.

Una volta qualcuno mi chiese che cosa avrei risposto se mi fosse stato chiesto quanta distanza si debba percorrere, nella strada che è la propria vita, per trovare il vero amore. All'epoca dissi di non averne la più pallida idea, nemmeno certa che un simile interrogativo avesse alcun senso. Se mi avessero rifatto la stessa domanda dopo che mi innamorai di Giulia, avrei risposto con assoluta certezza che il vero amore dista esattamente tanti passi quanti quelli che si devono compiere per raggiungere la completezza. Ma se mi ponessero quello stesso quesito ancora una volta, oggi, adesso, direi con tutta la sicurezza del mondo che il vero amore dista esattamente cento metri.

I Frutti dell'IgnotoWhere stories live. Discover now